Zona gialla e arancione, regole e regioni a rischio: cosa cambia oggi

La mappa delle regioni, nell’Italia del covid, oggi tra zona gialla e zona arancione può cambiare. Il monitoraggio dell’Iss e la cabina di regia con i nuovi dati definiranno il colore, le regole e le misure per contrastare l’aumento dei contagi, trainati dalla variante Omicron. La zona gialla comprende gran parte del paese. L’elenco giallo è lunghissimo: Lombardia, Lazio, Abruzzo, Toscana, Valle d’Aosta. Emilia Romagna, Piemonte. Sicilia, Liguria, Marche, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Calabria, province autonome di Trento e Bolzano.
 

Indicazioni possono arrivare dagli ultimi dati Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che fotografano la situazione negli ospedali. I ricoveri in area non critica arrivano nel complesso al 27%. La soglia regionale per il passaggio dalla zona gialla alla zona arancione è al 30% di occupazione. Le terapie intensive sono occupate al 18%. A livello regionale, si diventa arancioni quando le rianimazioni arrivano al 20%. Il quadro è completato da un’incidenza che non dovrebbe superare i 150 casi per 100.000 abitanti: il limite, con Omicron, viene ampiamente superato. 

Se a fine mese almeno un terzo dell’Italia potrebbe diventare arancione, nell’immediato spicca la situazione della Valle d’Aosta, che arriva al 54% dei ricoveri nei reparti e al 21% in terapia intensiva: parametri, quindi, arancioni. Rischia la Calabria, che sale al 39% in area non critica ma scende al 17% nelle rianimazioni e potrebbe quindi evitare la retrocessione. In bilico la Sicilia, il cui destino potrebbe decidersi al fotofinish. Il Friuli Venezia Giulia sfonda il tetto nei reparti, ma dovrebbe rimanere in zona gialla per le terapie intensive. Stesso discorso per la Lombardia e la Liguria. Salvo anche il Lazio, nonostante le terapie intensive oltre il limite. I dati lasciano respirare il Veneto, per ora. “I dati ci dicono che non saremmo arancioni. L’indice Rt è 1,34. Il tasso di occupazione delle terapie intensive è al 20%, quindi siamo arrivati” alla soglia per il passaggio in zona arancione, dice il governatore Luca Zaia. 

“Se il tasso di occupazione cala, ci fa respirare. Al 20% siamo da zona arancione”, spiega. “In area medica, il tasso di occupazione è 25% (24% per Agenas, ndr): ci mancano 5 punti, se il trend è questo” si arriva al 30% “in una settimana. L’incidenza è 2238,8 casi su 100mila abitanti. La variante Omicron è al 65,9% in Veneto. Questo vuol dire che tra 10 giorni siamo tutti Omicron”, aggiunge. Un modello “ci dà il picco dei contagi il 23 gennaio. Quello dei ricoveri, il 12 febbraio. Potrebbero essere anche solo 10 persone in più ricoverate, ma la situazione non va sottovalutata. Non ci venissero a dire che l’ospedale non serve con il covid: tra un mese sono 2 anni in questa situazione…”. 

Il cambio di colore è legato a doppio filo al numero delle ospedalizzazioni. “Le Regioni chiederanno di adottare le linee guida dell’Ecdc” per la definizione di ‘caso covid, dice Zaia, accendendo i riflettori sul dibattito. “L’Ecdc, organo ufficiale europeo, chiarisce che devono essere soddisfatti due criteri: il soggetto deve avere malattie respiratorie o sintomi influenzali e deve risultare positivo ad un tampone, antigenico o molecolare. Il paziente positivo ma senza sintomi non è un caso, lo dice l’Ecdc”.  

La definizione di ‘caso covid’ ha un impatto anche sul numero dei ricoveri. “La partoriente che entra in ospedale e risulta positiva nello screening viene inserita tra i pazienti positivi. Si tratta di persone che sono in ospedale per altri motivi, non per il covid. Il caso tipico, più frequente, è proprio quello della partoriente. Noi chiediamo che questa quota di pazienti, non è vastissima ma pesa sul passaggio da zona a zona, venga depennata dalle statistiche. Una signora che va in ospedale per partorire, risulta positiva ma non ha sintomi non è un caso per le linee Ecdc. Voglio essere chiaro, non si sta banalizzando nulla”, evidenzia. 

Per l’Istituto superiore di sanità, d’altra parte, i positivi asintomatici vanno conteggiati tra i casi covid. “La definizione di caso di sorveglianza deve contenere i positivi, e non solo i casi con sintomatologia più indicativa di Covid-19 (sintomi respiratori, febbre elevata, alterazione gusto e olfatto eccetera)”, spiega l’Istituto superiore di sanità in un ‘primo piano’ sul proprio sito. 

Abruzzo: 26% (area non critica), 20% (terapie intensive); 

Basilicata: 21% (area non critica), 1% (terapie intensive); 

Calabria: 39% (area non critica), 17% (terapie intensive); 

Campania: 25% (area non critica), 12% (terapie intensive); 

Emilia-Romagna: 25% (area non critica), 17% (terapie intensive); 

Friuli Venezia Giulia: 29% (area non critica), 23% (terapie intensive); 

Lazio: 25% (area non critica), 22% (terapie intensive);  

Liguria: 37% (area non critica), 18% (terapie intensive); 

Lombardia: 33% (area non critica), 17% (terapie intensive); 

Marche: 26% (area non critica), 23% (terapie intensive); 

Molise: 10% (area non critica), 5% (terapie intensive);  

P.A. Bolzano: 15% (area non critica), 16% (terapie intensive);  

P.A. Trento: 25% (area non critica), 28% (terapie intensive); 

Piemonte: 28% (area non critica), 23% (terapie intensive); 

Puglia: 18% (area non critica), 11% (terapie intensive); 

Sardegna: 14% (area non critica), 14% (terapie intensive); 

Sicilia: 34% (area non critica), 20% (terapie intensive);  

Toscana: 23% (area non critica), 22% (terapie intensive); 

Umbria: 32% (area non critica), 14% (terapie intensive); 

Valle d’Aosta: 54% (area non critica), 21% (terapie intensive); 

Veneto: 24% (area non critica), 19% (terapie intensive).