(Adnkronos) –
Due terzi dei principali economisti del settore pubblico e privato prevedono una recessione globale nel 2023, secondo un sondaggio pubblicato oggi in occasione del World Economic Forum (WEF) di Davos che indica come elementi di crisi i conflitti globali e l’inasprimento monetario da parte delle banche centrali anche se l’inflazione sembra aver finalmente raggiunto il picco come ipotizzato anche dal Fondo monetario internazionale che stima una crescita dei prezzi globale al 6,5% quest’anno dall’8,8% nel 2022.
Gli economisti intervistati prevedono un’ulteriore stretta monetaria negli Stati Uniti e in Europa quest’anno e ritengono che le tensioni geopolitiche continuano a plasmare l’economia globale. Circa il 18% degli intervistati, più del doppio rispetto al precedente sondaggio del settembre 2022, ha considerato una recessione mondiale “estremamente probabile” mentre solo un terzo la reputa improbabile. Nel ‘Chief Economists Outlook’ – che ha raccolto i giudizi di economisti di spicco dal Fondo Monetario a grandi banche di investimento – è emerso un forte consenso sul fatto che le prospettive di crescita nel 2023 siano fosche, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Tutti i principali economisti intervistati prevedono una crescita debole o molto debole nel 2023 in Europa, mentre il 91% prevede una crescita debole o molto debole negli Stati Uniti. Questo segna un peggioramento rispetto all’ultima dichiarazione, quando le cifre corrispondenti erano dell’86% per l’Europa e del 64% per gli Stati Uniti.
“L’attuale contesto di alta inflazione, bassa crescita, debito elevato e alta frammentazione riduce gli incentivi per gli investimenti necessari per tornare alla crescita e migliorare gli standard di vita per i più vulnerabili del mondo”, ha detto l’amministratore delegato del WEF Saadia Zahidi. “I leader devono guardare oltre le crisi odierne per investire nell’innovazione alimentare ed energetica, nell’istruzione e nello sviluppo delle competenze e nei mercati di domani ad alto potenziale che creino posti di lavoro. Non c’è tempo da perdere”, ha aggiunto.
Nove su dieci fra gli intervistati si aspettano che sia la domanda debole sia gli alti costi di indebitamento peseranno sulle imprese, con oltre il 60% che indica anche costi di input più elevati. La stima è che queste sfide porteranno le aziende multinazionali a tagliare i costi, con molti economisti capo che si aspettano che le aziende riducano le spese operative.