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Vittorio Cecchi Gori ‘si mette a nudo’

“Non doveva succedere, quel che è successo, io non rifarei calcio e tv, ma il cinema sì. Ho qualche progetto, con Scorsese c’era un altro contratto”. “Mi arrestarono davanti a mio figlio, non l’ho vissuto bene, ma sono rimasto sereno. Ho capito che eravamo nella follia del potere, che dovevo fare? L’accordo Telecom con le tv, saltava tutto. Non è stato semplice andare da Palazzo Borghese a Regina Coeli, ma mi son dato una medaglia, ho resistito bene. Rifarei tutto quello che ho fatto, coerente con le mie idee, col non volere accettare prepotenze. Ho la forza di essere dalla parte della ragione, certo, col senno di poi… ma non sarebbe onesto intellettualmente”.
E’ un uomo vissuto ed oggi saggio quello che ha deciso di mettersi a nudo davanti allo sguardo invadente di quel mezzo da ripresa che frequenta praticamente da sempre.
‘Cecchi Gori – di Vizi e di Virtù’ – con probabile ‘gita’ a Venezia – punta l’occhio (anche morboso), sul vissuto di Vittorio, eterno ‘rampollo d’oro’ dell’omonima casa di produzione un tempo guidata dall’arcigno padre Mario, con il quale ha praticamente ‘inventato’ gran parte della cinematografia nostrana.
Prodotto da Giuseppe Lepore e realizzato da Simone Isola e dal ‘navigato’ Marco Spagnoli, questo interessante docu-film scandaglia l’anima di Vittorio Cecchi Gori il quale, ritrovata la dimora natale dei Parioli, si lascia andare ad una vita d ricordi. Aneddoti e storie lunghi 50 anni di cinema (tra oltre 300 film prodotti e mille distribuiti), ma anche di sport – la cocente avventura con l’amata Fiorentina – di politica, e di donne.
E man mano che le immagini scorrono, rivelando un uomo oggi “sereno, il passato una volta glorificato non mi ha più pesato: ogni tanto mi sembra veder spuntare mio padre e mia madre, del resto, sono rimasto sempre molto figlio”, molti amici-personaggi famosi lasciano il loro contributo emotivo a favore del produttore che, capito ormai l’andazzo del mondo, tollera persino lo ‘stalkeraggio’ bonario del gossip (“Un ingrediente meraviglioso – afferma – ma su cose importanti fa da contorno. Facessi una camminata con Rita Rusic e Valeria Marini (ue compagne storiche,ndr), andrebbe a ruba, ma eviterei…”.
Dedicato alla memoria del fotoreporter cinematografico Pietro Coccia (recentemente scomparso), come spiega Simone Isola, il docu-film “nasce dalla voglia di raccontare, colmando un vuoto, una storia unica in Italia: esiste un prima e un dopo la fine dell’attività del gruppo. Capace di far coesistere opere commerciali con ‘La leggenda del santo bevitore’ di Ermanno Olmi, Leone d’oro: l’ultima grande major italiana, che investiva di tasca propria”. E “se Vittorio è una rockstar, la nostra riflessione sarà sul potere, cinematografico e non”, gli fa eco il collega Marco Spagnoli, sottolineando che nel girato vi sono anche 1.800 fotografie (le più rare provenienti della collezione privata dei Cecchi Gori). Inevitabile poi il confronto col determinato ‘patron’ Mario, del quale testimonia Carlo Verdone: “Dopo il successo di ‘Un sacco bello’ e ‘Bianco rosso e Verdone’ ero rimasto fermo, ero tornato all’università dal mio vecchio prof di storia delle religioni, dopo un mese ero abbastanza depresso, finché non mi chiama Mario Cecchi Gori e mi chiede un appuntamento. Sigaro, faccia autorevole e autoritaria, mi disse di essere rimasto colpito dall’emigrante di ‘Bianco rosso e Verdone’, ‘un capolavoro assoluto’, e mi chiede un film a personaggio unico, ‘son convinto ci riesci, fai quello che vuoi, libertà assoluta’”, nasce in quel momento il fortunatissimo destino cinematografico di ‘Borotalco’. Continui e meritati successi, spiega Vittorio, il cui segreto “era andare d’accordo con il regista: eravamo produttori creativi con Fellini, di cui facemmo ‘La voce della luna’, disse a mio padre: ‘L’hai sempre scansata, mo’ ti incastra tuo figlio’… Lo producemmo, ma in quel caso senza alcun nostro contributo creativo”. Poi Vittorio si intenerisce tornando ai suoi inizi ‘in autonomia, come quando conquistò i botteghini italiani e non con quello che ancora oggi, per nostalgia, ritiene “Il mio grande fiore all’occhiello…’Altrimenti ci arrabbiamo!’ con Bud Spencer e terence Hill: il più grande successo del cinema italiano all’estero. L’ho fatto da solo io, mio padre non lo capiva…”.
Intanto ai commenti di amici ‘del settore’ come Verdone, Benigni, Pieraccioni, Banfi, Marco Risi e Tornatore, si alternano anche quelli di quelli ‘sportivi’ come Roberto Mancini, Claudio Ranieri o l’amato Giancarlo Antognoni, eterno capitano della ‘sua’ Viola: “Litigai con Trapattoni, al Camp Nou non fece giocare Chiesa, e perdemmo 4 a 1” ricorda ancora con amarezza, perché il suo cuore batte sempre lì. Ed oggi? L’avvento di Commisso rilancerà la squadra? “Non lo conosco, spero bene – commenta – ma già fanno pasticci con Chiesa junior…”.
Oggi i tempi sono diversi e – purtroppo malamente – la tv insidia sempre più il cinema: “il conflitto tra cinema e tv non doveva accadere – tiene a sottolineare – ha vinto la tv sul cinema, ma non dovevano esserci vincitori”. Tutt’altra storia rispetto a quando il cinema era una fucina di talenti, “Pieraccioni non era nessuno, ‘Borotalco’ era molto moderno per quei tempi, ma avevamo l’intuizione, la cosa più importante. Al servizio del cinema, si reinvestiva sempre nel cinema, mentre oggi il produttore non è più indipendente, ma quasi un dirigente televisivo”.
Infine, come premesso in apertura, tra quello che non rifarebbe più in assoluto, c’è sicuramente l’esperienza politica: “Nei primi anni Novanta mi chiamò Martinazzoli – la Democrazia Cristiana era il partito d’origine nostro, non da militanti ma da normali cittadini – e mi chiese di candidarmi: Senato 1 a Firenze, avrei fatto due legislature. Sennò l’avrebbero presa i comunisti. Ma la DC mi si è sbriciolata sotto i piedi, non avevo una mens politica…”.
Max