Aggressione tra compagni di cella è finita in tragedia a Viterbo. I fatti, secondo quanto riportato dal sindacato Sappe, sono avvenuti ieri sera intorno alle 22, nella casa circondariale Mammagialla di Viterbo.
Due detenuti, uno di nazionalità bulgara e uno italiana, per motivi in corso d’indagine si sono azzuffati. “Purtroppo per il detenuto italiano all’arrivo dei soccorsi, immediati, non c’è stato nulla da fare: sarebbe stato strangolato dal detenuto bulgaro” rende noto il Sappe.
“Lo gridiamo ai quattro venti da almeno due anni. Il carcere è totalmente fuori controllo”, denuncia la Segreteria Provinciale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Non esistono più regole e la Polizia Penitenziaria non ha più nessun tipo di autorità. Delegittimata da tutto e da tutti senza alcun tipo di difesa. Fare ordine in questo contesto è impossibile. Senza ordine non può esistere sicurezza, né per i detenuti ne per il personale che opera.
“Non si può tacere – continua il Sappe – ad una gestione totalmente fallimentare e pressoché assente. Gravissima carenza di personale nei turni pomeridiani e, ormai anche mattinali, portano la custodia e la sorveglianza ad un rapporto di 1 a 100 minimo. Non sappiamo nel dettaglio come siano realmente accaduti i fatti, ma si può ben presagire che vi fosse, in quell’orario, un solo agente per 4 sezioni ovvero 200 detenuti su due piani. Non è possibile controllare una situazione del genere. Sicuramente era anche in atto il giro delle terapie e se così fosse, l’unico collega presente se accompagna l’infermiere non può stare simultaneamente in più posti di servizio”.
“Quanto accaduto nel carcere Mammagialla di Viterbo deve necessariamente far riflettere per individuare soluzioni a breve ed evitare che la Polizia penitenziaria sia continuo bersaglio di situazioni di grave stress e grande disagio durante l’espletamento del proprio servizio” così il segretario generale del Sappe, Donato Capece, dopo aver appreso la notizia della morte di un detenuto nel carcere Mammagialla di Viterbo.
“Il Sappe crede sia davvero giunta l’ora di ripensare la repressione penale – prosegue – mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere. Una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle storture determinate dal doppio binario per i recidivi, dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere”.