Virologi, immunologi, infettivologi in tv, alla radio o intervistati dai giornali solo se autorizzati dalla struttura di appartenenza. E’ l’Ordine del giorno, a firma del deputato del gruppo Misto Giorgio Trizzino, accolto ieri dal Governo. Una sorta di ‘stretta’ alla quale hanno subito replicato gli esperti interessati.
“Io sono professore universitario e come tale parlo quanto voglio e nessuno mi mette il bavaglio, perché altrimenti siamo di fronte al Fascismo”. Così all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. “Io lavoro in un ospedale pubblico e quando ho parlato dei miei pazienti o della struttura sono stato sempre autorizzato. Dispiace leggere certe cose e chi ha proposto questo ordine del giorno forse non conosce alcune questioni”, ha sottolineato. “Se il Governo dovesse fare questo passo – osserva il medico – saremo l’unico Paese al mondo che limita il pensiero di professori universitari. Quindi non posso neanche scrivere un libro sul virus? O rilasciare un’intervista a un giornale? Rischiamo di scadere profondamente”.
“A mio avviso dovrebbe esserci piuttosto una carta per tutti coloro che parlano” di Covid in tv, radio, giornali e media in generale “quali giornalisti, opinionisti e non addetti ai lavori” che garantisca “l’eticità di quello che raccontano e la veridicità delle loro affermazioni” citando cioè “da chi e dove le hanno apprese”, commenta il virologo Fabrizio Pregliasco, docente dell’Università Statale di Milano. “Non si può fare una censura – sottolinea l’esperto – l’autorizzazione della struttura cosa ci dà in termini di qualità di intervento? Ci vuole un codice etico ma per tutti. Il problema non sono i virologi, girano la colpa a noi ma è il giornalista o l’opinionista del caso che fa confusione e quindi ben venga un codice etico, con degli elementi essenziali, in base al quale uno quando dice qualcosa deve provarne la scientificità e il fatto che si è informato e da chi si è informato”. “Deve essere dichiarato un po’ come il conflitto di interessi. Quando noi partecipiamo a dei congressi – spiega il medico – la prima cosa che dobbiamo fare è dichiarare conflitto di interessi, biografia e bibliografia a cui si fa riferimento per le affermazioni. Questo è, ma deve essere per tutti però, compresi gli opinionisti che sono i peggiori”.
“Il rischio – paventa l’esperto – è che facciano sparire i virologi che hanno studiato, continuando a far parlare gli altri. C’è un’esigenza di informazione ma quello che prevale, lo vedo in alcune trasmissioni, sono tre o quattro opinionisti che buttano lì quello che pensa la signora Maria, che è giusto ma – ammonisce Pregliasco – ci deve essere un’interlocuzione. Un opinionista non può dire ‘il vaccino è sperimentale’, deve dire ‘voglio sapere se è sperimentale’ che è cosa diversa. Invece nelle trasmissioni quello che succede è questo: messaggi che passano in maniera scorretta. Io alle volte – ricorda – ho litigato in trasmissioni perché si lasciava passare questo concetto e se passa da testimonial, se un giornalista che è una persona informata e colta dice così, vuol dire che ha questa indicazione”. “Io – conclude il virologo – continuerò se mi viene richiesto a dire la mia perché ritengo che l’educazione alla salute e l’informazione basata su dati scientifici che si aggiornano nel tempo vale la pena ed è necessaria”.
“Se questa proposta è tesa ad evitare un sovraesposizione mediatica che potrebbe fuorviare il messaggio corretto che deve arrivare ai cittadini, potrebbe essere utile parlane. Sottolineo però che dobbiamo evitare di portare legna da ardere a chi già solleva la presenza di una ‘dittatura sanitaria’. A mio giudizio è giusto che ci sia una pluralità di voci sui media”, perché “i cittadini sanno orientarsi, e che si ascoltino con correttezza anche le persone che la pensano diversamente da noi. La scienza però deve essere autonoma e indipendente per poter fare bene il proprio lavoro e farci uscire dall’emergenza”. Così all’Adnkronos Salute il direttore dell’Inmi Spallanzani di Roma, Francesco Vaia.
Virologi, immunologi, infettivologi in tv, alla radio o intervistati dai giornali su Covid-19 solo se autorizzati? “No, se si tratta di parlare di scienza e illustrare il proprio pensiero scientifico, cosa che noi professori universitari dobbiamo fare istituzionalmente. Altra cosa se si tratta di fornire dati di gestione interna o comunque dati sensibili” della propria Asl o ospedale di appartenenza. Così Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano. Nell’Odg si chiede “un impegno a intervenire affinché tutti i dipendenti delle strutture sanitarie pubbliche o private (virologi, immunologi, infettivologi, igienisti ecc.), e degli organismi ed enti di diretta collaborazione con il ministero della Salute, possano partecipare alle trasmissioni televisive o radiofoniche e rilasciare interviste previa esplicita autorizzazione della propria struttura sanitaria di appartenenza”.
Gismondo dunque traccia un confine tra le opinioni e posizioni scientifiche personali e “l’attenersi al codice deontologico, che tutti dobbiamo rispettare in quanto appartenenti all’Ordine dei medici”, ricorda. “Nel rapporto con le aziende sanitarie nelle quali operiamo – sottolinea – è ovvio che vige una deontologia che non permette di dare dati di gestione interna, numero di pazienti, dati sensibili se non autorizzati dalle direzioni. Il che – rimarca l’esperta – è ben diverso dall’esprimere il proprio punto di vista scientifico”.
“Virologi troppo spesso in tv? Personalmente non appaio più in TV dal 30 maggio scorso”, commenta Roberto Burioni su Twitter.