(Adnkronos) – A Samarcanda è andata in scena la “separazione consensuale” tra la Cina di Xi Jinping e la Russia di Vladimir Putin, con l'”indicazione” che la politica estera del gigante asiatico “potrebbe cambiare” e che esiste un “doppio punto di frattura” nei rapporti – da sempre di interesse – tra i due Paesi: l’Asia centrale, oltre all’Ucraina. Ne parla con l’Adnkronos il sinologo Francesco Sisci. In Asia centrale Russia e Cina sgomitano da tempo per l’influenza e l’area appare al cuore della strategia del leader cinese che si avvia verso un inedito terzo mandato da leader al Congresso del Partito comunita cinese di metà ottobre.
Pechino, osserva Sisci, si impegna a “sostenere il Kazakistan” (dove Xi è stato prima di sbarcare in Uzbekistan per il primo viaggio fuori dai territori cinesi da oltre due anni), ovvero “a sostenere il Kazakistan in caso di interferenze russe”, dicendo che “non consentirà ai russi di invadere”. E, di fronte agli sviluppi in Ucraina dopo quasi sette mesi di guerra scatenata dall’invasione russa, il Dragone gioca d’ “astuzia”.
La Russia, osserva il sinologo, è “chiaramente più isolata di qualche mese fa” e con il “fallimento” dell’accordo di Samarcanda restano a sostenerla “solo Iran e Corea del Nord”. Ed è “un grande punto di domanda il futuro della Russia stessa, non solo del regime putiniano”, motivo per cui di fronte alla possibilità che “la Russia si divida o che un prossimo governo russo sia questa volta filo-occidentale”, la Cina “sta cercando di anticipare i tempi” e ha fatto “una mossa astuta”, ovvero “non è andata a sostenere un amico che ha un piede nella fossa, ma sta cercando di capire quali sono i suoi possibili margini di manovra per il futuro”.
Sisci parla di un “tandem Cina-Russia” che già “non era solido sin all’inizio” e che ora “non c’è più”, dell'”avventura di una notte”, di due leader che “sognavano una possibile evoluzione in matrimonio, ma si sono scoperti molto diversi”. Sono passati più di sette mesi dalla “partnership senza limiti” annunciata da Xi e Putin a Pechino e quasi altrettanti mesi dall’invasione russa dell’Ucraina. E ora a Samarcanda “la Cina ha cercato nel modo più morbido possibile di dire ‘ciao’ alla Russia”.
“Cina e Russia si sono ‘separate’ perché se Putin ammette, ed è contro i suoi interessi, che la Cina ha perplessità sull’azione della Russia in Ucraina, vuol dire che la Cina si allontana dall’impegno della Russia in Ucraina” e “quindi – prosegue – non fornirà armi, aiuti, sostegni alla Russia e continuerà semplicemente a comprare dalla Russia energia e materie prime a prezzi scontati”.
Sisci parla di un rapporto tra Cina e Russia che “all’inizio c’era, perché la Cina aveva creduto che la Russia avrebbe conquistato facilmente l’Ucraina, avrebbe spaccato l’Europa e avrebbe allontanato l’America dall’Europa stessa”. Ma poi, dice, il gigante asiatico “ha preso le distanze dalla Russia perché non voleva essere messo nelle condizioni di affogare insieme a una sconfitta russa” e al contempo “non voleva allontanarsi tanto dalla Russia da affrettarne la sconfitta”.
E oggi “che con l’offensiva (delle forze ucraine) a Kharkiv la sconfitta militare russa si avvicina, la Cina si allontana poiché, per quanto ci possano essere dissapori, contrasti con l’Occidente, con l’America, alla fine dell’anno la Cina – dice – potrebbe avere un surplus commerciale di mille miliardi di dollari generato nella sua totalità dal G7 allargato”.
Una cifra “senza precedenti nella storia” e “un problema gigantesco”, rimarca, con riferimento “all’aumento delle richieste di beni cinesi” e alla “contrazione dei consumi interni per la lotta al coronavirus” con Pechino che insiste sulla politica ‘Zero Covid’ e sui lockdown. Il Dragone aveva chiuso il 2021 con un boom del surplus commerciale a 676 miliardi.
E con il pensiero rivolto all’Italia, Sisci conclude su quella che considera “la sfida più grande” per l’Italia che si avvicina all’appuntamento con le urne, “imparare a capire le tendenze prima che accadano e non a reagire dopo che sono accadute”.