E’ una guerra asimmetrica, quella che destra e sinistra stanno combattendo intorno alle candidature dei sindaci.
Da una parte infatti -a sinistra- c’è un affollamento di candidati, spesso affidati alla contesa delle primarie e appesi a coalizioni difficili da assemblare (tanto più ora, con i 5 stelle di mezzo). Un appuntamento che coinvolge un ceto politico largo e diffuso, a cui sembrerebbe disdicevole trovarsi a subire decisioni calate dall’alto, in nome dell’autorità dei loro leader.
Dall’altra parte -a destra- le cronache degli ultimi giorni raccontano piuttosto di candidati che si defilano, di rifiuti garbati o seccati in attesa che siano i leader ad allestire il tavolo degli accordi e delle decisioni. I territori ambiscono anche qui a dire la loro, come è ovvio che sia. Ma sembrano riconoscere l’ultima parola ai loro capicordata in nome di un decisionismo politico che da quella parte suona tutt’altro che improprio.
In attesa di litigare tra di loro come si conviene in campagna elettorale, in questa fase preliminare gli uni litigano insomma per il troppo pieno dei loro ranghi, gli altri per il troppo vuoto. A sinistra l’apparato, inteso come struttura di mediazione verso l’elettorato, ha ancora un senso. A destra non ce l’ha ancora.
Ora, è inevitabile che, man mano che si procederà verso il deposito delle candidature (e delle alleanze che le sorreggono) questa disparità si andrà equilibrando. E che nel centrosinistra si farà un po’ d’ordine e nel centrodestra altrettanto. Ma quello che colpisce è che i due disordini, chiamiamoli così, siano di natura tanto diversa. Gli uni infatti tendono a sbagliare per troppa politica, gli altri per troppo poca. Gli uni si affidano fiduciosi all’affollarsi di nomi in competizione, al lavorio di mille piccoli apparati, alla giostra di combinazioni le più mutevoli tra i partiti -o quel che resta di loro. Gli altri, all’opposto, confidano nelle ventate d’opinione pubblica, nel favore dei sondaggi, nella estrema semplicità delle procedure. Nel decisionismo appunto.
Il centrosinistra è Penelope, il farsi e disfarsi delle combinazioni al modo della tela tessuta a Itaca. Il centrodestra è Alessandro Magno, il nodo di Gordio tagliato con la spada, senza perdere troppo tempo nel cercare di scioglierlo.
Naturalmente, a volte accade che Penelope traslochi a destra e Alessandro Magno si porti dalla parte opposta. E’ ovvio che prima o poi il centrosinistra dovrà darsi un ordine, e il centrodestra dovrà fare i conti con il disordine che è insito in ogni contesa politica. Ma resta il fatto che l’istinto degli uni, almeno finora, sia di affidarsi alle procedure, senza risparmiarsene le complicazioni e che invece gli altri confidino di poter fare a meno di tutte queste faticose ritualità.
Il centrodestra ha sempre avuto qualche tratto plebiscitario, e di questo suo carattere originario non si è mai liberato del tutto. Il centrosinistra a sua volta ha puntato molto sulla confusione creativa, memore delle copiose tradizioni politiche cui dà ospitalità. Nulla di tutto questo, ovviamente, è scolpito nella pietra. Anzi, è probabile che a furia di combattersi anche gli schieramenti in campo alle prossime amministrative finiranno prima o poi per prendere qualcosa l’uno dall’altro.
Quando accadrà, non sarà affatto una cattiva notizia. Per mettere radici, infatti, il bipolarismo ha bisogno che i due poli si somiglino almeno un po’.
di Marco Follini