“Noi eravamo soccorritori ed anche padri. L’errore fu la spettacolarizzazione dei media: milioni di cittadini seduti sul divano si trasformarono in Bearzot. Veltroni ha scritto su Sette del Corriere della sera, Il bambino perduto in un’Italia fragile. Ma se porti una telecamera e tutti diventano esperti, rischi di danneggiare l’intervento”. Ne parla con l’Adnkronos Piero Moscardini, operatore della sala operativa dei vigili del fuoco di Roma coinvolta nelle operazioni di salvataggio di Alfredino Rampi, il bambino di 6 anni precipitato in un pozzo artesiano a Vermicino nel 1981. Moscardini, dal 1982 funzionario del Dipartimento della Protezione civile, a 40 anni dalla ricorrenza della tragedia vissuta in diretta da 23 mln di spettatori ricorda: “A Vermicino si è presentato un circo di nani e medium, l’informazione ha permesso a tutti di diventare commissari tecnici”.
“L’unica a cui va dato rispetto – rimarca – è Franca, la mamma, che come in un film non capiva cosa stesse avvenendo. Pianse alla presenza di Pertini il quale capì l’importanza di attuare l’avvio della riforma prevista da Zamberletti, che portò alla nascita della Protezione civile. Chi affermava che ciò avvenne grazie al dramma vissuto da Franca – afferma Moscardini – commette un errore, perché il padre fondatore della Protezione civile è stato Zamberletti, grazie al team condotto da Pastorelli, responsabile unico delle operazioni a Vermicino”.
La necessità di una organizzazione del servizio nazionale in tutte le sue componenti, la valorizzazione degli enti locali e del volontariato erano punti indispensabili anche nell’ottica dell’introduzione del concetto di previsione e prevenzione, spiega l’ex vigile del fuoco indicando tra le complessità di coordinamento delle competenze necessarie per l’intervento l’inatteso scontro della trivella che perforava il terreno per creare uno dei due tunnel a fianco del pozzo, “con il basalto. Non c’erano solo tufo e argilla come riferito dai media. La trivella divenne viola per il calore e si spezzò e Pastorelli, responsabile delle operazioni di salvataggio di Alfredo Rampi, – ricorda Moscardini – comunicò con noi in contatto via radio dalla centrale e ci chiese di trovare una geosonda”.
Altra odissea: “La trivella era sulla via Cassia e la macchina che doveva trasportarla al Tiburtino terzo, due poli opposti di Roma. Abbiamo recuperato le parti e trasportato il cingolato sul posto. Ma le strade erano bloccate dalla gente che andava a vedere lo ‘spettacolo’. I carabinieri dirottarono le auto sui prati….”.
Il resto è storia: “Dopo la morte del piccolo Alfredino, nonostante gli sforzi sovrumani i pompieri vennero presi a sassate dal pubblico che assisteva alle operazioni e furono apostrofati con appellativi pesantissimi. Questo intervento era trasmesso in mondovisione. La gente ci chiamava da ovunque, anche dall’America per dare suggerimenti. La sala operativa del comando di Roma a via Genova andò in tilt”, mentre a Vermicino arrivavano volontari senza alcuna supervisione”. (di Roberta Lanzara)