In Italia la variante inglese del coronavirus è ancora dominante, all’88,1%, secondo i dati aggiornati al 18 maggio, ma in calo rispetto al 91,6% dello scorso 15 aprile, e con valori oscillanti tra le singole regioni tra il 40% e il 100%. Per quella ‘brasiliana’ la prevalenza era del 7,3% (0%-60%, mentre era il 4,5% nella scorsa survey), mentre le altre monitorate sono sotto l’1%, tranne la cosiddetta ‘variante indiana’ che è all’1%. La stima viene dalla nuova ‘indagine rapida’ condotta dall’Istituto superiore di Sanità (Iss) e dal ministero della Salute insieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler.
L’indagine integra le attività di monitoraggio di routine, e non contiene quindi tutti i casi di varianti rilevate – precisa l’Iss – ma solo quelle relative alla giornata presa in considerazione. In totale, hanno partecipato all’indagine le 21 Regioni/Province autonome e complessivamente 116 laboratori.
Dalla survey emerge che “nel contesto italiano, in cui la campagna di vaccinazione sta accelerando anche se non ha ancora raggiunto coperture sufficienti, la diffusione di varianti a maggiore trasmissibilità può avere un impatto rilevante. Mentre la variante ‘inglese’ è ancora predominante, particolare attenzione va riservata alla variante P.1”, la cosiddetta brasiliana, “la cui prevalenza è in leggero aumento rispetto alla precedente indagine. La variante B.1.167.2 (quella cosidetta ‘indiana’) è stata identificata in 16 casi totali di cui diversi autoctoni”, si legge nella flash survey.
E ancora, l’Iss raccomanda: “nell’attuale scenario europeo e nazionale, caratterizzato dalla circolazione di diverse varianti, è necessario continuare a monitorizzare con grande attenzione, in coerenza con le raccomandazioni nazionali ed internazionali e con le indicazioni ministeriali, la diffusione delle varianti stesse di SarS-CoV-2. Al fine di contenerne ed attenuarne l’impatto – conclude l’Iss – è importante mantenere l’incidenza a valori che permettano il sistematico tracciamento della maggior parte dei casi”.