Un recente studio italiano ha identificato la carica virale nelle vie respiratorie superiori come possibile predittore della gravità del virus Mpox, noto anche come vaiolo delle scimmie. Secondo i ricercatori, una carica virale elevata nella prima settimana di infezione potrebbe indicare un rischio maggiore di sviluppare forme gravi della malattia. Lo studio, condotto da un gruppo di esperti italiani, ha analizzato diversi fattori per aiutare i medici a prevedere l’evoluzione della malattia e prendere decisioni tempestive sulla gestione dei pazienti, in particolare nelle fasi iniziali dell’infezione.
Lo studio, pubblicato su ‘eBioMedicine’, è stato condotto dal gruppo Mpox-Icona, che coinvolge esperti di numerosi centri di ricerca e università in Italia, tra cui l’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, l’ospedale Sacco di Milano e il Policlinico San Martino di Genova. I ricercatori hanno esaminato i predittori della durata della malattia Mpox, studiando la cinetica dei marcatori infiammatori e analizzando la presenza del DNA del virus Mpxv nei fluidi corporei dopo la guarigione clinica. L’infettivologo Matteo Bassetti ha spiegato che “più è elevata la quantità di virus nell’organismo, maggiore è la probabilità di avere forme gravi della malattia”.
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Oltre alla carica virale elevata, lo studio ha osservato che altri fattori potrebbero prevedere una grave evoluzione della malattia. Tra questi, la razza caucasica e la presenza di sintomi come febbre, mal di gola, linfoadenopatia (gonfiore dei linfonodi) e lesioni perianali. In particolare, valori Ct (ciclo soglia) elevati nelle vie respiratorie superiori nella prima settimana di infezione sono stati identificati come un potenziale indicatore di infezione grave. Questi risultati potrebbero contribuire a sviluppare una strategia di laboratorio che utilizzi parametri misurabili per identificare i pazienti a rischio di evoluzione clinica sfavorevole nelle prime fasi dell’infezione, anche in assenza di lesioni cutanee.
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Lo studio di coorte storico multicentrico ha esaminato adulti con diagnosi confermata di Mpox in laboratorio tra maggio 2022 e settembre 2023, coinvolgendo 15 centri italiani. In totale, 541 pazienti sono stati arruolati, tra cui quattro donne, con un’età media di 38 anni. Tra questi, 215 pazienti (39,7%) hanno sviluppato una forma grave della malattia, sebbene nessuno sia deceduto. Gli esperti hanno osservato una “differenza significativa” nella carica virale tra i pazienti con infezioni lievi e quelli con forme gravi. Hanno rilevato che il rischio di sviluppare una malattia grave diminuiva “di circa il 5% per ogni aumento di Ct”, indicando che una carica virale più bassa nelle vie respiratorie superiori riduceva il rischio di una forma grave.
L’associazione diretta tra i valori Ct delle vie respiratorie superiori e la gravità dell’infezione da Mpox suggerisce che questo parametro potrebbe essere utilizzato come strumento di laboratorio per la gestione precoce dei casi, in combinazione con fattori clinici predittivi noti. Identificare i pazienti a rischio di grave malattia potrebbe facilitare l’inizio tempestivo del trattamento antivirale o la decisione per l’ospedalizzazione, specialmente tra le persone più vulnerabili, come quelle con infezione da HIV avanzata. Gli autori dello studio sottolineano l’importanza della ricerca continua e della sorveglianza internazionale per migliorare le strategie di contenimento attuali e preparare risposte efficaci alle future epidemie tra le popolazioni a rischio.
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