Vaia: “Sì a terza dose, no a vaccino e cappuccino”

“Serve fare la terza dose di vaccino anti Covid, perché abbiamo bisogno di proteggerci un altro poco dopo i primi 5 mesi dalla seconda dose, ma non voglio arrivare a ‘vaccino e cappuccino’, per cui facciamo una quarta, una quinta, una settima dose a colazione, senza però migliorare i trasporti, la scuola, senza cioè fare niente altro perché tanto ci vacciniamo”. Lo ha detto Francesco Vaia, direttore dell’Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma, ospite del dibattito dedicato al Covid 19, dal palco di Atreju, la manifestazione di Fratelli d’Italia, in corso a Roma.  

Secondo Vaia, “la soluzione deve trovarla la politica, assumendosi le sue responsabilità e spronando le case farmaceutiche ad aggiornare al più presto il vaccino, per farlo una sola volta all’anno. Questa è la strada”.  

“Non mi occupo di politica – ha poi sottolineato Vaia -, e non voglio entrare in questi particolari, ma dico che se i dati di oggi non mi preoccupano, se l’indice Rt ci dice che entro Natale saremo ancora più bassi, se è vero che il vaccino funziona, e dobbiamo farci la terza dose, dal mio punto di vista tecnico non ci sono le condizioni per prolungare l’emergenza”.  

“Ancora oggi, come ieri la parola d’ordine deve essere ‘non abbiate paura’”. Vaia ha poi ricordato il giorno di fine gennaio quando arrivò allo Spallanzani la coppia cinese, i primi casi noti di Covid-19 in Italia.  

I bambini sono diffusori di Covid? “Mi astengo dal giudizio su chi ha detto questa sciocchezza. All’ospedale pediatrico bambino Gesù di Roma, a ieri sera, zero bambini in terapia intensiva”, ha continuato, aggiungendo: “Io sono un civil servant quindi accoglierò chi vuole vaccinare i bambini, e per quelli fragili dico che è meglio farlo in una struttura iperprotetta come lo Spallanzani, ma dico no a vaxismo e no ad anti vaxismo”.  

“La mia impressione – ha sottolineato – è che da alcune parti si voglia ideologizzazione la vaccinazione fino a rasentare il fanatismo, perché se vogliamo pensare a fasce di popolazione che possono essere serbatoi di diffusione del virus, certo non penso ai bambini, ma ai 5-7 milioni di italiani tra i 50 e i 60 anni che non vogliono vaccinarsi”.