Il tessile-abbigliamento è il settore produttivo italiano che “uscirà per ultimo” dalla crisi innescata dall’emergenza sanitaria. Uno dei comparti della manifattura più colpiti dalla pandemia inizierà a vedere una vera ripresa solo all’inizio del prossimo anno. “Potremo osservare una ripresa del nostro settore dalle produzioni che verranno fatte all’inizio del 2022 per il secondo semestre del 2022”, spiega Marino Vago, presidente di Smi, Sistema Moda Italia, la federazione del tessile e della moda. Quest’anno si sta registrando un aumento della produzione e delle vendite rispetto al 2020, ma il crollo dello scorso anno “è stato molto forte e, facendo un paragone sul 2019, le produzioni sono ancora molto in ritardo”, sottolinea Vago, intervistato dall’Adnkronos.
Per assicurare la tenuta del settore nell’immediato e una ripresa sostenibile nei prossimi anni Smi ha presentato al governo alla fine di marzo un piano dettagliato di intervento. “Le risorse che chiediamo, fra gli 8 e i 10 miliardi di euro, sono da considerare un investimento che nel tempo dà un ritorno”. Risorse pari a quelle destinate negli anni ad Alitalia, per un settore però da 45mila imprese, 400mila addetti e “sempre con la bilancia dei pagamenti attiva”, ricorda Vago.
Per ora, continua, misure specifiche per il settore non sono ancora state approvate, “ma ci auguriamo che le nostre proposte possano essere accolte”. In ogni caso il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, “ha assicurato che su quei temi la regia è del Mise e abbiamo in programma incontri con il Ministero della Transizione ecologica”. Se verranno attuati gli investimenti richiesti, nel 2023 “potremo tornare ai volumi pre-Covid
e mettere le basi addirittura, se saremo in grado di seguire l’evoluzione del mercato e di integrare in modo funzionale la nostra filiera produttiva, per una ulteriore crescita”, sottolinea il presidente di Smi.
Nel frattempo le imprese del settore più colpito dalla crisi dovranno resistere. Anche sul fronte occupazionale. La cassa integrazione Covid, soprattutto per le piccole imprese, “è uno strumento importante per permettere di non perdere quelle professionalità che ci sono in azienda e a cui un imprenditore, se non ha spazi produttivi da riempire, magari è costretto a rinunciare”, dice Vago. Se un imprenditore continua a usufruire della cassa Covid, “ne ha un beneficio dal punto di vista della salvaguardia delle professionalità e consente di scavallare questo periodo”. In caso contrario “è giusto che abbia la possibilità di ristrutturare”.
In ogni caso il settore del tessile-abbigliamento “non è ancora nella fase espansiva e in questo momento non vediamo una necessità di nuove assunzioni”. Ma il problema, come Smi da tempo sottolinea, è “la carenza di figure professionali e la difficoltà di sostituire le persone che escono dal mondo produttivo”.
A pesare sulla competitività del settore è anche il problema delle dimensioni delle imprese italiane. Con il fatturato dei due colossi francesi del settore, Lvmh e Kering, che è maggiore del giro d’affari complessivo del tessile italiano. Nonostante questo ostacolo, “alcuni gruppi italiani stanno aumentando la loro parte industriale e stanno comprando fabbriche, perché si rendono conto che sono strategiche nel ciclo produttivo”, continua Vago.
Quello delle dimensioni resta “un problema competitivo”, come dimostrano le acquisizioni di marchi italiani da parte di gruppi francesi. L’inserimento in piattaforme radicate e presenti in tutto il mondo “ha permesso a prodotti di qualità di avere una vetrina globale, con fatturati e produzioni moltiplicate”, sottolinea il presidente di Smi. Ma ora, “anche se si mettessero insieme tutti gli imprenditori e le imprese italiane del settore, non arriverebbero alle dimensioni dei francesi. Quello che dobbiamo fare come sistema è di non essere gli uni contro gli altri armati”, conclude.