Serve la seconda dose di vaccino Johnson & Johnson in Italia contro il covid? L’efficacia della prima dose dura solo 2 mesi? Chi ha fatto il vaccino a giugno è già scoperto? Tra Roma e Milano, passando per Genova e Padova, si accende il dibattito tra gli esperti sul vaccino Janssen, l’unico monodose tra quelli approvati in Europa contro il coronavirus. Ad accendere la discussione, le parole del professor Andrea Crisanti a Piazzapulita. “Il vaccino anti-Covid Johnson & Johnson dopo 2 mesi di fatto non protegge quasi più niente. E’ una cosa che dovrebbe sorprenderci tutti. Questa vaccinazione è stata iniziata quando Johnson & Johnson era a conoscenza dei limiti del vaccino”, ha detto Crisanti.
Le parole dell’esperto ovviamente non sono passate inosservate. E sono state bocciate da Matteo Bassetti. “I dati relativi al vaccino J&J, pubblicati a luglio, dicono che c’è una risposta sostenuta e robusta per almeno 8 mesi. Dopo di che ci sono state delle segnalazioni che hanno evidenziato che dopo 2 mesi i soggetti che hanno fatto la monodose vedono una riduzione della protezione, ma cominciate a ridursi non significa che a due mesi scompaiono gli anticorpi”, ha detto all’Adnkronos Salute il direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. “Stiamo attenti a comunicare altrimenti le persone che hanno fatto questo vaccino pensano di non essere coperti e non è così. Non terrorizziamo 1,8 mln di persone in Italia che lo hanno fatto”, ha aggiunto. “Nel nostro Paese a qualcuno piace fare ‘a lupo a lupo’ per prendersi i titoloni e le prime pagine dei giornali. Ma così non facciamo il bene della gente”, ha proseguito.
“Il dato è che la protezione tende a calare di più degli altri vaccini ed è importante una seconda dose che a questo punto in Italia si farà in modo eterologo”, con vaccini a mRna, ha spiegato il virologo Fabrizio Pregliasco, docente dell’Università Statale di Milano. Ma è vero che il vaccino monodose non protegge per niente? “Non è vero – ha frenato Pregliasco – protegge meno. Non ha senso mettere ingiustamente in panico 1,5 milioni di persone quando la protezione comunque c’è”. Crisanti “ha messo in evidenza forse in modo un po’ eccessivo quella che è il dato oggettivo di riduzione, ma non di sparizione” dell’effetto protettivo del vaccino. “Va a calare” e per questo la seconda dose “è una raccomandazione e un suggerimento. Vedremo adesso – ha concluso l’esperto – quali saranno le indicazioni” dell’Agenzia italiana del farmaco “Aifa per chi lo ha fatto meno di 6 mesi fa”.
“Il vaccino Johnson & Johnson dura un pochino meno rispetto agli altri anti-Covid, ma ha dalla sua la monodose. Non c’è nessun allarme, però. E’ vero che c’è una perdita lenta e progressiva, ma parliamo” di perdita rispetto alla “massima efficacia. Non deve quindi passare il messaggio che dopo pochi messi non si hanno più anticorpi. Quello che posso consigliare è, per le categorie che devono fare la terza dose, di optare”, nel caso della seconda di J&J, “per farla dopo i 4 mesi e non aspettare i 6 mesi” ha evidenziato Massimo Andreoni, primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
Molti giovani hanno scelto di fare il monodose J&J in estate per avere il Green pass e potersi muoversi liberamente. “Diciamo che loro, se dovranno fare il richiamo, lo potranno fare a gennaio 2022”, ha precisato Andreoni. “La protezione del vaccino è lunga e, anche se c’è una riduzione significativa del titolo anticorpale, non vuol dire che non si è protetti – ha rimarcato l’esperto – Dobbiamo ragionare che dal 95% passiamo al 90%, non è che scendiamo al 20%”.
Per l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la Medicina Personalizzata, “probabilmente è stato affrettato il giudizio di chi ha ritenuto che una singola dose del vaccino J&J potesse equivalere a due dosi di analogo vaccino a vettore adenovirale o di altri vaccini a mRna. I controlli successivi ci dicono, infatti, che la copertura immunitaria dopo quell’unica dose non è in grado di offrire lo stesso intervallo temporale di protezione garantito dalle due dosi degli altri vaccini”. “Questo non toglie nulla alla sicurezza del prodotto e che anzi avvalora le pratiche di follow-up, basilari nella messa a punto definitiva dei protocolli di cura”, ha aggiunto.
“A mio avviso – ha proseguito Minelli – basterebbe considerare questi semplici elementi di fondo visto che da tempo siamo tutti impegnati, e i pazienti si sono facilmente adattati, a modificare il numero delle somministrazioni e la distanza temporale fra le stesse – ha osservato Minelli, tornando sulle polemiche scatenate dall’intervento di Crisanti – Due anni di pandemia dovrebbero averci già insegnato qualcosa, soprattutto la prudenza nel rivolgerci a un’utenza non sempre del tutto consapevole”.