Di Giacomo Chiuchiolo
A volte si trovano in sei, chiusi dentro una cella. Lontani dal mondo quando c’è da affrontare l’isolamento. Un anno senza contatti con l’esterno che non sia qualche telefonata veloce, per sapere quello che succede fuori: perché dentro l’incertezza fa paura. Quello che all’esterno chiamano distanziamento sociale tra i grigi corridoi non esiste, non può esistere. E capitava che i positivi al Covid venissero trasportati in un reparto dismesso perché malfunzionante – succedeva a Rebibbia fino a poche settimane fa, dove non era previsto un padiglione dove poter alloggiare i potenziali contagiati.
Così i detenuti hanno paura, ora che anche ogni attività esterna è stata interrotta: incontri, lavoro, progetti di pubblica utilità e anche la scuola, perché in carcere la didattica a distanza non è attivata. Lo racconta a Italia Sera Gabriella Stramaccioni, garante per i detenuti del Comune di Roma: “Quello che stiamo vivendo all’interno delle carceri era uno scenario prevedibile, le misure preventive per evitare il sovraffollamento non hanno funzionato”, commenta.
E il vaccino AstraZeneca, per cui i detenuti e il personale penitenziario sono stati inseriti tra le categorie a rischio, non arriverà subito: “Da quello che sappiamo per i detenuti la campagna vaccinale inizierà a maggio – spiega Stramaccioni – i medici che operano all’interno degli istituti sono stati vaccinati e sono arrivati i moduli al personale penitenziario”. Due milioni a febbraio, quattro milioni a marzo e otto ad aprile, sono le dosi di AstraZeneca destinate all’Italia per la rimodulazione del piano vaccinale che vede in cima alla lista personale scolastico docente e non docente, forze armate e di polizia e personale carcerario e detenuti.
Un passo importante per due motivi, spiega la garante: “Le persone detenute potrebbero rientrare a contatto con l’esterno, e la vaccinazione potrebbe garantire al personale penitenziario di entrare e uscire dal carcere in sicurezza. La percezione del Covid è molto pesante in carcere, bisogna muoversi in fretta. La situazione è ancora molto tesa, c’è bisogno di relazione con l’esterno. Non vedere interrotti i percorsi che sia erano faticosamente costruiti. Così come la scuola, un barlume di costruzione di identità e di sapere”.
A Roma, nelle carceri, la situazione Covid è in miglioramento rispetto a inizio gennaio: “Soprattutto il focolaio del nuovo complesso di Rebibbia, che aveva coinvolto il dieci per cento dei detenuti. Si stanno facendo molti tamponi – spiega Stramaccioni – c’è un controllo molto rigido per evitare strascichi all’interno dei reparti. Il sovraffollamento, però, di certo non aiuta”. E i problemi da risolvere sono ancora molti: “Ci sono differenti modalità d’azione da parte delle Asl. Ci sono delle Asl che hanno operato con tamponi a tappeto per la popolazione detenuta e questo ha permesso di tenere sotto controllo la situazione. Ci sono altre Asl, come quella a cui competono i quattro plessi di Rebibbia, che non hanno usato questa metodologia”, spiega la garante. Che lancia un appello a Marta Cartabia, nuova ministra della Giustizia: “Conosce le carceri e sa che il fine della pena deve essere rieducativo e non solo afflittivo. Se le persone uscissero dal carcere più umanizzate e colte molta recidiva si abbatterebbe”.