“Sappiamo che l’infezione da meningococco B ha un’incidenza piuttosto bassa, ma è una malattia con conseguenze davvero spaventose. E la comunità medica e la società mandano un messaggio chiaro: anche un solo caso è troppo”. Con queste parole Paolo Bonanni, docente di Igiene e Sanità pubblica all’università degli Studi di Firenze, introduce i dati che fotografano l’impatto della vaccinazione nel ridurre la malattia invasiva nei gruppi d’età più vulnerabili e in vari contesti, presentati durante un simposio supportato da Gsk nell’ambito del 39esimo meeting annuale dell’European Society for Paediatric Infectious Diseases (Espid).
Una panoramica delle varie strategie di immunizzazione con il vaccino Men B a 4 componenti, nei neonati e negli adolescenti, dall’Australia all’Italia e altri Paesi europei, mostra come “oggi abbiamo evidenze forti del profilo di sicurezza ed efficacia del vaccino, ma anche valutazioni sul rapporto costo-efficacia di questa vaccinazione, che mostrano un profilo favorevole in tutti i Paesi se si tengono in conto tutti i fattori, dalle sequele a lungo termine della malattia all’impatto sui costi sanitari e alle ricadute sulle famiglie, quindi considerando il carico complessivo della malattia nelle valutazioni economiche”, spiega Bonanni.
In Italia, illustra l’esperto, “la vaccinazione con 4cMenB ha mostrato un’alta copertura ed efficacia. Si è preferito evitare di somministrarlo insieme ad altri, ma questo potrebbe cambiare perché in gran parte delle regioni si sta passando allo schema 2+1″. Bonanni porta i dati di Toscana e Veneto: nella prima regione la copertura nelle coorti degli anni di nascita 2014-2017 è stata dell’83,9% e l’efficacia è risultata del 93,6%. In Veneto la copertura nelle coorti 2015-2017 è stata dell’81,7% e l’efficacia del 91%. In entrambi i casi i dati sono molto alti. Ma si è osservato anche il beneficio di una somministrazione più precoce. Dove si cominciava prima”, a un’età inferiore, “si è registrata una riduzione relativa dei casi più elevata, evidenziando l’importanza di cominciare” con le iniezioni scudo “prima dell’età in cui si registra il picco della malattia (cioè fra i 5 e gli 8 mesi)”.
Dalle esperienze dei vari Paesi emerge anche l’importanza del ruolo svolto dalle società scientifiche e dall’opinione pubblica e le associazioni dei pazienti. “In Gb per esempio – dice Bonanni – il peso della loro attività di advocacy ha portato a rivedere la raccomandazione su questo vaccino. In Italia dove si è cominciato a offrire gratuitamente la vaccinazione a cominciare dai bimbi nati dopo l’1 gennaio 2017, fattori chiave sono stati l’aumento dell’incidenza e della consapevolezza delle persone riguardo alla portata di questa malattia, e l’inserimento nel calendario vaccinale per la vita”.
“In questo mondo dominato da Covid abbiamo visto delle conseguenze inaspettate che ci mostrano come sia essenziale garantire i programmi delle vaccinazioni di routine. Abbiamo visto riduzioni nei mesi di lockdown e non possiamo lasciare nessuno indietro – evidenzia Federico Martinón-Torres, dell’Hospital Clínico Universitario de Santiago – Se Sars-CoV-2 è un virus che ha un indice riproduttivo di base (R0) di 2-4, non dobbiamo dimenticare che alcuni dei microrganismi dai quali siamo protetti con le vaccinazioni di routine sono anche più pericolosi in termini di trasmissione, e di mortalità nei bambini”. Vanno considerate per l’esperto anche le “ulteriori sfide” che Covid può portare alla prevenzione del meningococco e alla diagnosi e gestione della malattia, poiché i sintomi precoci possono spesso essere simili.
Dall’Australia del Sud, che nel 2012-2016 aveva il più alto tasso di notifica di malattia da meningococco del Paese, arrivano invece dati sulla vaccinazione anti meningococco B anche negli adolescenti. Qui l’iniezione scudo 4cMenB è indicata per l’immunizzazione attiva a partire dai 2 mesi di età. Il primo programma per neonati e per adolescenti è stato introdotto nell’Australia meridionale dall’ottobre 2018 per fornire protezione diretta ai gruppi d’età ad alto rischio, spiega Helen Marshal ricercatrice dell’University of Adelaide: a due anni di distanza, i dati mostrano un’efficacia del “93,4% nei neonati”. Mentre “nessun caso è stato osservato negli adolescenti vaccinati (efficacia 100%)”. Ma è stata valutata anche la protezione incrociata contro la gonorrea: “A 2 anni dall’introduzione del programma vaccinale dati preliminari segnalano un’efficacia del vaccino contro la gonorrea nei 15-20enni (29,2%)”. Il vaccino non è attualmente indicato per prevenire le infezioni di questo tipo. Ma gli studi proseguono, anche su altri fronti.