(Adnkronos) – Sono passati tre anni da quando a Codogno si scoprì il tampone positivo a Covid del paziente 1 d’Italia. Cinque giorni dopo “il primo caso Covid a Legnano. Era il 25 febbraio 2020, un collega medico era risultato per primo positivo all’infezione da Sars-CoV-2”. Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento di Area medica dell’Asst Ovest Milanese e segretario generale Fism (Federazione delle società medico-scientifiche italiane), torna con la mente a quei giorni in cui il suo ospedale, come diverse strutture del Paese, si scontrò con la pandemia e, guardando al passato dal punto in cui siamo oggi, invita a utilizzare “l’esperienza della lotta alla pandemia per affrontare i nuovi bisogni, quali quelli del pronto soccorso”.
L’esperto definisce le sue parole “libere riflessioni di chi ha lottato contro il virus, si è ammalato e lotta ancora per migliorare il sistema”. A suo avviso, “non vi è dubbio che l’emergenza Covid ci abbia trovato impreparati, non solo per ciò che riguarda la pandemia vera e propria quanto per quel che è stata la ‘sindemia’ Covid, vale a dire l’impatto globale biologico e sociale che ha avuto sull’organizzazione sanitaria e sulla popolazione generale”. Mazzone parla di “una guerra” che la comunità mondiale ha dovuto affrontare contro un’infezione “che ha colpito e colpisce tutti aumentando la mortalità, soprattutto nel setting di pazienti affetti da polipatologie, in polifarmacoterapia e anziani”.
Il focus dello specialista si concentra sui reparti di medicina interna e sul ruolo dell’internista, che “un po’ come il mediano nel calcio: non appare, ma fa vincere i Mondiali”. E osserva: “Adesso in questa nuova emergenza che vede in difficoltà i pronto soccorso e le medicine d’urgenza abbiamo bisogno della stessa elasticità e spirito di collaborazione per affrontare tutti insieme le nuove problematiche sanitarie emergenti”. Durante la pandemia “abbiamo assistito davvero al concetto di ‘paziente al centro’, fino ad allora restato più una teoria che un fatto”. Allo stesso modo, incalza Mazzone, “oggi che c’è l’emergenza dei pronto soccorso, abbiamo la necessità di recuperare quella capacità organizzativa che ha visto al centro il paziente. In grave carenza di personale medico non possiamo tenere aperti dei pronto soccorso che non sono altro che degli ambulatori, che non servono e creano un danno alla popolazione oltre che economico”.
Oggi, prosegue l’internista, “dobbiamo superare questa sensazione di abbandono e frustrazione che ha colpito medici e infermieri post Covid. Dobbiamo lottare come in Spagna, dove 250mila cittadini sono scesi in piazza a difesa del Servizio sanitario pubblico. Non possiamo permetterci di non assumere decisioni efficaci ed efficienti in difesa del Servizio sanitario nazionale. Stiamo rischiando di perdere un patrimonio pubblico che va difeso, supportato e migliorato”.
Cosa ci ha insegnato la pandemia? “Si è fatto giustamente risaltare l’importanza dei ventilatori – riflette Mazzone – ma non dobbiamo dimenticare come anche l’ecografia (vascolare, cardiologica, toracica, addominale) al letto di pazienti difficilmente spostabili ha agevolato la diagnostica e di conseguenza il trattamento. Questo ci deve far cambiare organizzazione. Nelle grandi aree mediche dovranno essere presenti letti ‘High Care’ almeno per il 20-30%, vale a dire letti dotati di tecnologia per il monitoraggio dei parametri vitali con relativa centralina di osservazione e controllo. Tale monitoraggio sarà necessario in pazienti complessi, in pazienti necessitanti trattamenti semi-intensivi o in pazienti affetti da una patologia acuta grave, non solo per guidare il trattamento, ma anche per intercettare in anticipo situazioni di potenziale instabilità”.
E poi c’è il capitolo formazione. “Le amministrazioni dovranno capire che i medici devono avere a disposizione tempo per formazione e aggiornamento. Solo così potrà essere meglio accettato ciò che in altre parti del mondo è routine, vale a dire la rivalutazione periodica delle proprie competenze”, dice l’esperto. Infine il concetto del paziente al centro: durante la pandemia “infettivologi, pneumologi, internisti e gli specialisti di altre discipline intervenivano sul singolo malato ciascuno per le sue competenze, andando oltre quella che fino ad ieri era la singola semplice consulenza. Abbiamo visto esperienze dove tutti gli specialisti vedevano il malato ogni giorno, anche più volte al giorno, una volta acquisita la richiesta per quel malato, facendosi carico interamente della problematica per cui erano stati chiamati. Questo – conclude lo specialista – oggi deve succedere nel pronto soccorso e nella medicina d’urgenza: il paziente al centro e gli specialisti che per la loro parte se ne prendono carico”.