Usa, chiusura Sears. Gli effetti del ‘modello Amazon’

    Amazon, il colosso dell’e-commerce, sta monopolizzando il mercato e sta avendo ricavi miliardari, tanto che il suo fondatore, Jeff Bezos, oggi è l’uomo più ricco del mondo. I guadagni della compagnia gli hanno permesso di investire in altri settori, come il cinema e il video, tanto che ad Hollywood esistono gli ‘Amazon Studios’ ed è ormai diffusa la sua piattaforma di streaming online ‘Prime Video’. Ma, come detto, Amazon deve la sua fortuna alla vendita di articoli online che oramai prevedono di tutto, dalla casa, ai computer, fino ai settori più tecnologicamente sviluppati. Inoltre molti dei suoi introiti li deve con le giornate dedicate alle promozioni, tipo il ‘Prime day’ o il ‘Black Friday’. Una politica, quella del colosso, che ha generato e sconvolto il mercato tradizionale. L’e-commerce ‘impigrisce’ l’acquirente, che non deve recarsi più fisicamente al negozio, ma può comprare da casa. Proprio a causa di questo modello, molte aziende sono state costrette a chiudere poiché non potevano sostenere la concorrenza. L’ultima, in ordine di tempo, a subire il ‘modello Amazon’ ed essere vicina ad una chiusura prossima è l’americana Sears. Sears basava il suo modello di vendita su quello di Postalmarket. I clienti si recavano presso le filiali sul territorio, selezionando gli articoli da un catalogo su carta, che poi potevano essere recapitati a casa. Fondata nel secolo scorso, Sears era diventata leader negli Stati Uniti nel commercio al dettaglio, con 2200 punti vendita e 350 mila lavoratori. Mantenne il suo primato fino agli inizi degli anni’90 quando fu sopravanzato da un altro colosso statunitense: Walmart. Nell’era di Amazon e del suo cugino cinese Alibaba, la società è vicina al fallimento. Fondata da Richard Warren Sears e Alvis Curtis Roebuck nel 1886, ora Sears, per non finire in bancarotta, ha chiesto l’accesso al Chapter 11 al Tribunale di White Plans. L’ordinanza prevede di tutelare gli ultimi beni di una società destinata al fallimento, operando senza l’assillo dei creditori. Eddie Lampert – ad, presidente e maggiore azionista della Sears con il 31 per cento delle azioni – da anni investe il suo denaro nel rilancio nell’azienda anche attraverso il suo fondo Esl (che ha un altro 18,5% dell’azienda). Per iniettare liquidità nelle casse di Sears, il fondo ha immaginato l’acquisto di uno degli ultimi marchi di punta della società come Kenmore (cucine componibili). Un altro marchio ambito – Craftsman (attrezzi da lavoro) – è stato già ceduto alla alla Stanley Black & Decker. Ma sembra non bastare. Adesso, alla vigilia dello shopping natalizio, Sears viaggia verso il Tribunale fallimentare, gravata da un indebitamento che sarebbe di ben 10 miliardi. La società proverà a riorganizzarsi attorno a una piattaforma di negozi più piccola, una strategia che l’aiuterebbe a salvare decine di migliaia di posti di lavoro dei 90 mila attualo. Sears chiuderà 142 negozi non redditizi verso la fine dell’anno, oltre alla già annunciata chiusura di 46 negozi entro novembre. Sono lontani i tempi in cui l’azienda poteva inaugurare a Chicago quello che allora era il più alto grattacielo al mondo, il Sears Tower. Pur mantenendo la sua presidenza, Lampert lascerà il ruolo di amministratore delegato. Intanto avrebbe ricevuto impegni per 300 milioni di dollari in finanziamenti, mentre sta negoziando altri 300 milioni di dollari di prestiti dai creditori, nel tentativo di ritrutturare il debito per limitarne i costi.