e il cattivo – a volte – funzionamento della giustizia non è un male che investe soltanto la nostra realtà: negli Stati Uniti è stata resa nota la terribile storia di Albert Woodfox, rinchiuso in cella d’isolamento per ben 43 anni. Il detenuto, insieme a quello di due suoi compagni di sventura (liberati nel 2001 e nel 2013), è stato definito il caso degli “Angola three”, dal soprannome dato al penitenziario dove erano incarcerati, con laccusa di aver ucciso Brent Miller, una guardia del penitenziario di Stato della Louisiana, nel lontano 1972. Da sempre dichiaratosi innocente per quellomicidio, Woodfox ha rivisto il mondo proprio nel giorno del 69esimo compleanno, ma non prima di aver finalmente ritrattato l’accusa più leggera di omicidio colposo. “Anche se sono ansioso di provare la mia innocenza ad un nuovo processo ha dichiarato luomo – le preoccupazioni per la mia età e la mia salute mi hanno spinto a risolvere il caso con la mia non opposizione ad una imputazione minore”, ha detto l’afroamericano. Un destino curioso e beffardo quello di Woodfox, condannato due volte per quel lontano omicidio, ed ogni voltale sentenze sono sempre state ribaltate per la difesa insufficiente e il sospetto di discriminazione razziale. “Non esiste nessuna prova fisica che leghi i tre uomini all’omicidio, le prove del Dna che potenzialmente potevano discolparli sono andate perdute e le condanne si basavano su dubbiose testimonianze di altri detenuti”, dicono gli attivisti di Amnesty International che seguono questo caso da decenni. La condizione delle celle disolamento hanno anche ultimamente scosso lopinione pubblica americana, tanto è che , ultimamente, il presidente Obama ha deciso di vietarlo per i minorenni rinchiusi nelle carceri federali.
M.