Dati che allarmano, incupiscono, deprimono. Secondo una recente relazione Censis, infatti, emerge come un italiano su tre sia costretto a pagare per le cure essenziali. Questo è, in effetti quanto viene fuori da un rapporto del Censis. Il motivo? Sarebbe tutto da far ricadere nelle lunghe liste d’attesa per le prestazioni pubbliche.
Sanità pessima notizia: un italiano su tre costretto a pagare le cure essenziali
Gli italiani sono costretti dalle circostanze e dalle impellenze a ricorrere alla sanità a pagamento. Secondo i dati Censis a dir poco allarmanti, sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno sono stati costretti a pagare almeno una prestazione sanitaria essenziale prescritta dal proprio medico. Per quale motivo, ci si chiede, sono stati costretti a farlo?
Semplice: perchè dopo aver vanamente e a lungo tentato di prenotare col Servizio sanitario nazionale, una volta appresi i lunghi tempi d’attesa, hanno dovuto tornare sui propri passi e, pur di eseguire la pratica medica prescritta e indubbiamente necessaria, sono dovuti andare a ricorrere alla sanità a pagamento, privata o come si dice in gergo intramoenia.
In 28 casi su 100 i cittadini, a causa dei lunghissimi tempi d’attesa o per via delle liste chiuse, hanno dovuto effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% al Centro e il 33,2% al Sud). È ciò che viene a galla dall’IX Rapporto Rbm-Censis divulgato al “Welfare Day 2019”, una indagine su un campione nazionale di 10.000 cittadini maggiorenni statisticamente rappresentativo della popolazione.
I numeri sono chiari: transitano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche.
Il 62% di chi ha effettuato una prestazione sanitaria nel sistema pubblico, ine ha dovuto fare perlomeno un’altra nella sanità a pagamento: il 56,7% tra coloro che hanno redditi bassi, il 68,9% di chi li ha alti.
Stando alla ricerca poi sarebbero 13,3 milioni le persone che per via di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla “second opinion”). Combinare pubblico e privato è ormai il modo per avere la sanità di cui si ha bisogno.