Questa mattina alle ore 11.50, tre attivisti aderenti alle campagna ‘Palestina Libera’, ed ‘Ultima Generazione’, in coordinamento con i movimenti Palestine Action e Palestina Libera di Inghilterra, Portogallo e Italia, hanno compiuto un’azione di disobbedienza civile nonviolenta davanti la sede di Milano della Banca JP Morgan Chase.
L’ingresso del celebre e potente colosso creditizio a stelle e strisce è stato coperto con vernice rossa color sangue; i tre attivisti hanno poi esposto uno striscione con scritto “Palestina Libera”. La protesta mira a denunciare la complicità della Comunità Internazionale, degli Stati Uniti e dello Stato italiano che ospita sul proprio territorio diverse banche che finanziano e lucrano sul genocidio palestinese, tra cui anche la banca americana JPMorgan Chase.
In tutto ciò, tengono a rimarcare gli attivisti, riferendo della cronaca del blitz, “Una signora milanese si è unita alla protesta” anzi, addirittura la donna si è offerta e reggere lo striscione assieme agli attivisti, mentre alcuni passanti che hanno assistito all’azione, hanno rivolto loro un “bravi!”. Alle ore 12.05 sono arrivate le forze dell’ordine.
Ultima Generazione ‘colpisce ancora’: “L’Italia è complice perché continua ancora oggi ad inviare armi ad Israele, lo confermano i documenti doganali”
“Siamo qui oggi – aveva denunciato un attivista, Luca, nel corso della protesta – per denunciare la complicità tra la banca JP Morgan Chase, che ha sede anche sul nostro territorio, e Israele, attraverso il finanziamento di alcune delle maggiori aziende che finanziano il genocidio in Palestina. L’Italia è complice perché continua ancora oggi ad inviare armi ad Israele, lo confermano i documenti doganali; Taiani – ha quindi concluso l’ambientalista – ha mentito al Parlamento negando che dal 7 ottobre sia cessato l’invio di armi”.
Inoltre, si legge in nota stampa poi diffusa dal Movimento ambientalista, “Per quanto riguarda il territorio italiano, infatti, il finanziamento del genocidio palestinese attraverso Israele non riguarda solo le banche e le aziende americane come la JPMorgan, ma anche quelle italiane: Banca Intesa Sanpaolo, Unicredit, Medibanca, Mediolanum sono altrettanto coinvolte. Al governo italiano chiediamo il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione italiana. Chiediamo inoltre ai diretti responsabili, l’osservazione ed il rispetto della Legge 185/90 (articoli 27 e 27bis), per quanto riguarda il rispetto delle norme che vigono sull’attività bancaria e sui finanziamenti di guerra, ovvero l’assicurarsi che le imprese che operano all’interno della loro giurisdizione si impegnino a implementare procedure di verifica per prevenire violazioni dei diritti umani”.
Ed ancora, si legge nel comunicato, “Chiediamo inoltre al Governo Italiano l’immediato ritiro del nostro sostegno politico e lo stop dell’invio di armi, il quale è stato dimostrato non si è mai interrotto, all’esercito israeliano, che oltre a portare avanti un massacro da più di 7 mesi in Palestina è anche impegnato nel bombardamento di Libano, Iran e Siria”.
Dunque, scrivono i sostenitori di Ultima generazione, “Dopo aver bombardato gran parte della striscia di Gaza negli scorsi mesi, in questi giorni Israele sta invadendo via terra e bombardando a tappeto Rafah. Secondo le Nazioni Unite questa invasione causerà centinaia di migliaia di vittime palestinesi. Ad oggi, oltre 37 mila civili sono già stati uccisi. Di questi circa la metà sono bambini. In tutto questo, compagnie italiane come la Leonardo non hanno mai cessato di inviare munizioni, armi e armamenti militari a Israele; banche come JPMorgan non hanno mai smesso di finanziarli. JPMorgan Chase sostiene infatti, oltre ad altre grandi corporation che producono armi, la Elbit Systems, società privata israeliana impegnata nel rifornimento terrestre di armi e armamenti militari per l’esercito israeliano. Anche lo stato italiano collabora attivamente con la Elbit Systems: sia direttamente che attraverso la società israeliana RADA, che ha acquisito nel 2022. Sempre in violazione dell’articolo 11 della nostra costituzione e della legge 185 del 1990.
Poi, a chiudere, gli attivisti tornano a ricordare o meglio, a rinnovare, la loro ormai conosciuta richiesta: “La nostra richiesta è di un Fondo Riparazione preventivo, permanente e partecipato da prevedere annualmente nel bilancio dello Stato. I soldi dovranno essere ottenuti attraverso l’eliminazione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD), la tassazioni degli extra-profitti delle compagnie fossili, il taglio di stipendi premi e benefit ai loro manager, delle enormi spese della politica e delle sempre più ingenti spese militari. Per questo continueremo a scendere in strada, a fare azioni di disobbedienza civile nonviolenta, assumendoci la responsabilità delle nostre azioni, affrontando la repressione, tribunali e processi…”
Max