(Adnkronos) – L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha partecipato quest’oggi al seminario di inizio anno dei commissari europei che si è tenuto, a porte chiuse, a Jodoigne, un comune di 12mila anime ad una cinquantina di chilometri a sudest di Bruxelles, nel Brabante Vallone, in Belgio. A volere l’incontro è stata la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che nello scorso autunno ha deciso di affidare all’ex presidente del Consiglio l’incarico di redigere un rapporto sulla competitività dell’Ue, che delinei una “visione per l’economia del futuro”.
Draghi è stato invitato a Jodoigne proprio per discutere di quel rapporto, ha spiegato von der Leyen ai commissari nella riunione del collegio del 21 novembre scorso, come riporta il verbale della riunione pubblicato ieri. La presidente oggi ha ringraziato pubblicamente l’ex premier: “Grazie caro Mario – ha detto via social – per l’eccellente scambio oggi con il collegio dei commissari sulla competitività. Abbiamo discusso di molte sfide e ambiti delle politiche. Non vedo l’ora di avere il rapporto, che aiuterà a portare avanti il dibattito su come rafforzare l’economia Ue”.
Nell’incontro con i commissari europei, informano i suoi collaboratori, Draghi ha inquadrato brevemente le dinamiche che hanno determinato gli scenari attuali e le prospettive per la competitività europea. Partendo dal 2016, ha osservato, abbiamo assistito a una serie di fatti nuovi e rilevanti per l’Europa negli ambiti più diversi, dall’elezione di Donald Trump negli Usa all’affacciarsi prepotente della transizione green nell’agenda di governi e organizzazioni, fino all’avvento, ben più veloce del previsto, dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, ha sottolineato ancora, l’economia europea ha fatto registrare un progressivo indebolimento, perdendo slancio e cedendo centralità nelle catene dell’offerta, a beneficio di altri Paesi come Stati Uniti e Cina.
La guerra in Ucraina, ha continuato l’ex premier, non ha fatto che confermare le fragilità del Vecchio Continente, non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di modello geopolitico. Ne consegue, questo in sostanza il ragionamento fatto da Draghi, la necessità di definire una roadmap ampia e dettagliata, che identifichi chiaramente priorità, linee d’azione e politiche da mettere in atto nei diversi settori. L’individuazione di questi percorsi, ha spiegato ancora Draghi riproponendo un approccio a lui caro, non potrà che essere basata su un’analisi accurata dei dati.
Dunque la relazione sulla competitività europea, che l’ex premier sta preparando su incarico della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sarà un esercizio il più possibile aperto all’ascolto di tutti gli stakeholder rilevanti, aperto ai contributi di tutti coloro che siano interessati a darne, aperto alla ricerca di soluzioni incisive e ambiziose. Quali siano le sue idee, l’ex governatore di Bankitalia lo ha lasciato chiaramente intuire nel settembre scorso quando, in un intervento pubblicato dall’Economist, ha ricordato che l’Europa deve affrontare una serie di sfide sovranazionali, che richiederanno ingenti investimenti in un periodo di tempo limitato: nella difesa, per la transizione verde e per quella digitale. Draghi ha sottolineato che, al contrario degli Usa che hanno lanciato l’Ira usando la leva fiscale, l’Ue non ha alcuna strategia federale per finanziare quegli investimenti.
Se non agisce, avvertiva, l’Europa corre il “serio rischio” di mancare gli obiettivi climatici che si è data, di non riuscire a fornire “sicurezza” ai suoi cittadini e di “perdere” la propria base industriale, a favore di aree del mondo che si autoimpongono “meno vincoli”. Piuttosto che dare mano libera agli aiuti di Stato, argomentava l’ex presidente della Bce, sarebbe meglio “ridefinire” il quadro delle regole sui bilanci e il processo decisionale dell’Unione, per renderli “adeguati” alle sfide comuni. Questo dilemma, continuava, può essere risolto solo “trasferendo maggiori poteri di spesa al centro”, cosa che a sua volta renderebbe possibile avere regole più “automatiche” per gli Stati membri.
Se l’Ue riuscisse a “federalizzare” alcuni degli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi comuni che l’Unione si è data, potrebbe riuscire a raggiungere un “equilibrio” simile a quello di cui beneficiano gli Usa. Spendere a livello federale, indebitandosi in comune, porterebbe, notava Draghi, “maggiore efficienza” e fornirebbe “maggior spazio fiscale”, dato che i costi del servizio del debito sarebbero inferiori. In questo modo, le politiche nazionali potrebbero focalizzarsi maggiormente sulla “riduzione del debito”, per ricavare “cuscinetti” nei bilanci per i periodi di magra. In vista dell’allargamento a est, occorrerà “evitare”, ammoniva ancora Draghi, gli errori del passato, espandendo la periferia senza rafforzare il centro. Un processo decisionale più centralizzato, continuava, comporterà “il consenso dei cittadini”, nella forma di una “revisione dei trattati”.
E dunque: le strategie che hanno assicurato la “prosperità e la sicurezza” dell’Europa in passato (“affidarsi all’America per la sicurezza, alla Cina per le esportazioni e alla Russia per l’energia”), sono diventate “insufficienti, incerte o inaccettabili”. In questo “nuovo mondo”, ammoniva, la “paralisi” è chiaramente “insostenibile”, mentre l’opzione di uscire dall’Ue, percorsa con decisione dal Regno Unito, ha dato risultati “decisamente misti”. Pertanto, concludeva, “forgiare un’Unione più stretta si dimostrerà in ultima analisi essere l’unica via per assicurare la sicurezza e la prosperità cui aspirano i cittadini europei”. Si scoprirà presto in quale misura il rapporto Draghi riecheggerà questi concetti, che l’ex presidente del Consiglio aveva già parzialmente espresso quando stava a palazzo Chigi.