(Adnkronos) – “Il voto spagnolo ha molto ridimensionato la possibilità che al vertice dell’Europa che verrà si possa formare una maggioranza di destra, imperniata sull’asse tra conservatori e popolari. Il fatto è che nessuna maggioranza troppo di parte – che sia una parte o l’altra – sarebbe in grado di far fare all’unione un passo avanti. E così torna in campo la previsione che alla fine ci toccherà in sorte una maggioranza ampia e multicolore, che ragionevolmente potrà spaziare dai conservatori ai socialisti. Con un certo imbarazzo di entrambi. Ma con la consapevolezza di quasi tutti.
Il fatto è che l’Europa deve per forza di cose porsi al di sopra e al di là delle contese che regolano la vita dei paesi che ne fanno parte. Non è un caso che in tutti questi anni i partiti maggiori abbiano dialogato in quel di Bruxelles, lavorando a stretto contatto, e magari continuato a darsele di santa ragione una volta tornati ognuno nei propri paesi. La delicatezza e la complessità dei meccanismi di governo europei richiedono infatti un dosaggio assai diverso da quello che viene somministrato entro i confini di casa. L’Europa insomma è per forza di cose consociativa, o almeno pluralistica. Nel senso che non potrebbe reggere l’urto e il peso di quella dialettica un po’ baldanzosa che ogni democrazia si trova ad animare dentro il proprio perimetro nazionale.
Possono essere marginalizzati – e neppure più di tanto – partiti più estremi. Ma resta il fatto che la gran parte delle decisioni ha sempre bisogno di un consenso trasversale che accomuni almeno i partiti e i paesi che contano. Lasciando sullo sfondo la possibilità che un domani, non troppo vicino, i meccanismi di governo e di consenso possano essere perfezionati a tal punto da consentire che si formino, anche a Bruxelles, maggioranze e minoranze come la regola canonica della democrazia comanda.
Dunque è probabile che di qui a qualche mese assisteremo a una campagna elettorale bifronte. Tra partiti che chiedono il voto per sé e contro i propri avversari in ognuno dei paesi. Salvo scoprire il giorno dopo che quegli stessi partiti dovranno giocoforza dare vita a combinazioni assai più pacifiche di quelle che si erano appena raccontate ai propri elettori. Un doppio registro che l’astuzia della politica ben conosce, ma che può facilmente acuire la diffidenza di chi ha appena votato dando credito al sentimento di reciproco antagonismo che ciascuno dei partiti e dei leader ha fatto del suo meglio per trasmettergli. Così, quel che è benemerito e doveroso sul fronte europeo rischia di lasciarsi dietro una scia di malumore sul fronte più casalingo.
E’ una difficoltà che i partiti faranno bene ad attraversare con la consapevolezza della posta in gioco. E cioè la necessità di imparare a tenere insieme lo spirito di parte senza di cui una democrazia risulta amorfa e il senso del destino comune senza di cui si smarrisce il significato stesso della costruzione europea.
Questa quadratura del cerchio si può fare in due modi. Il primo è quello di definire insieme, con una mozione parlamentare comune, i compiti che si pensa di affidare al prossimo parlamento europeo. Ipotesi suggestiva ma assai improbabile, temo. Il secondo è quello di condurre una campagna non troppo sopra le righe, evitando di presentarla come la battaglia di Armageddon tra il bene e il male – così da rendere meno inspiegabili le collaborazioni che ne discenderanno l’indomani in Europa. Ipotesi meno suggestiva e però quasi altrettanto improbabile.
L’alternativa è di proseguire in una recita degli equivoci. Con l’effetto di rendere più imbarazzanti le collaborazioni del giorno dopo e meno credibili le parole d’ordine del giorno prima. Ipotesi probabile, questa sì. Ma assai poco suggestiva.
Resta il fatto che la politica europea, almeno per qualche anno, dovrà ancora nutrirsi di un certo spirito collaborativo. E conciliarsi per quanto può con lo spirito assai più battagliero che aleggia in ciascuna delle contrade nazionali. Tanto varrebbe allora cercare di farlo prima”.
(di Marco Follini)