(Adnkronos) – La guerra in Ucraina solleva una questione: se accanto al diritto di resistenza dell’aggredito, sia esso una persona o un popolo, debba convivere un diritto di renitenza degli esseri umani nei confronti della guerra di aggressione. “Un diritto fondamentale non enunciato nelle carte internazionali ma già implicitamente presente nella nostra Costituzione che da un lato ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di atri popoli risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11) e dall’altro enuncia il sacro dovere di difendere la patria (articolo 52)”. Ne parla con l’Adnkronos Nello Rossi, magistrato e direttore della rivista trimestrale e on line di Magistratura democratica, Questione Giustizia, che sollecita: “l’Italia dovrebbe fare una politica per esportare il suo modello di rifiuto di ogni guerra aggressiva e di doverosa difesa della patria e fare iscrivere il diritto di renitenza ad una guerra di aggressione nel catalogo dei diritti fondamentali”.
Si tratta di un diritto “quasi mai menzionato, che non ha nulla a che vedere con il pacifismo e che non può essere né assimilato né assorbito dal diritto all’obiezione di coscienza, connotato dal rigetto aprioristico di ogni forma di violenza e dal ripudio di ogni guerra anche solo difensiva”, precisa. Ne parlava nei secoli scorsi nel Leviatano Thomas Hobbes, annoverandolo tra quei diritti naturali che oggi nel realismo di una guerra di aggressione acquisiscono la concretezza che la Costituzione italiana prevede quando consente “solo una missione di pace con militari di professione. Al di là, si sarebbe al di fuori del dovere di tutti i cittadini di difendere la propria patria”. “Io non credo – prosegue il giurista – che oggi Putin riuscirebbe a mobilitare il popolo russo in Ucraina. E penso che se noi chiedessimo ai giovani europei di essere coinvolti in una guerra di aggressione, eserciterebbero in massa questo diritto di renitenza che è un sentimento ormai universalmente diffuso ed aggiungo già presente nella nostra Costituzione”.
Secondo il magistrato, se il diritto di renitenza fosse rivendicato tra le giovani generazioni, come avvenne in America all’epoca della guerra in Vietnam con il rogo delle cartoline di precetto dei militari di leva, “il quadro della guerra e della pace ne sarebbe radicalmente trasformato. Il diritto di renitenza si trasformerebbe in un elemento anti-bellico eccezionale dato che il sentimento diffuso tra i giovani è che è inconcepibile essere coinvolti in conflitti non necessari alla diretta difesa della propria patria. Perché non iscriverlo dunque anche nelle carte internazionali come vero e proprio diritto degli esseri umani? – sollecita il direttore di Questione giustizia che al ‘Diritto della guerra, le ragioni della pace’, ha dedicato il numero del trimestrale di prossima uscita sull’Ucraina – Naturalmente grandi paesi bellicosi come Russia, Usa e Cina che non hanno accettato il Trattato di Roma si tirerebbero fuori. Ma sarebbe un passo avanti in un processo di incivilimento. La stringente logica politica di Hobbes è importante – conclude – Se faccio un patto con lo Stato per garantirmi vita e sicurezza, lo Stato non può scagliarmi in una guerra d’aggressione perché stai revocando l’accordo”.
(di Roberta Lanzara)