(Adnkronos) – “In questo momento mi trovo in una stazione di servizio per fare il pieno: mi sto occupando di far riparare la mia auto che è stata danneggiata da un’esplosione, e sabato partirò per Lisiansk e Severodonetsk, le zone più calde in questo momento. Ci dirigiamo nei luoghi dove ci sono più feriti, per fare di tutto per salvarli”. Ha un elastico con i colori del suo Paese, giallo e blu, che le tiene i capelli e un cappellino militare Olha Krokha Bashei, paramedico militare in forza all’esercito ucraino, mentre parla all’Adnkronos in collegamento su Zoom da Kiev.
La sua specialità è la medicina tattica: “Per medicina tattica si intende la medicina militare -spiega- Nelle zone di guerra è il primo soccorso ai militari feriti. Noi abbiamo la zona di combattimento, la zona rossa, dove il militare viene ferito, e in questa zona deve essere applicato il primo bendaggio per fermare il sangue. Poi c’è la zona gialla, dove portiamo il ferito subito dopo e procediamo con il successivo soccorso. Io insegno proprio questo”. Le donne al fronte, in diversi ruoli, sono tantissime, ci dice. E fa un distinguo: “Queste due guerre, quella del 2014 e quella del 2022, sono molto diverse. In questa guerra in particolare ci sono moltissime donne, e molte che lavorano come paramedici”.
Il rapporto con i militari è strettissimo e collaborativo. “Gli uomini al fronte ci trattano come sorelle -ci rivela- ci aiutano, ci proteggono, al fronte per gli uomini le donne sono la cosa più importante, siamo come un talismano per loro”. E ci racconta il suo primo giorno in trincea: “Mi accudivano, mi portavano i loro materassini e si assicuravano che avessi tutto, cibo, riposo -dice sorridendo- Mi sono trovata a dover spiegare che sapevo bene che eravamo nel mezzo di una guerra, avevo il mio sacco a pelo e non avevo bisogno che si preoccupassero, avrei fatto di tutto per essere utile alla causa”.
La paura in guerra è una compagna di viaggio consueta, ma Olha non è una tenera: “A chi mi chiede se ho paura, io rispondo così: se vai nella zona di combattimento, ci vai perché non sei uno che ha paura, se hai paura non ci vai. Io personalmente la paura non ce l’ho. Voglio starci io al fronte, perché non vogliono che i miei cari vedano quello che ho visto io”. Sulla trentina, vedova (ha perso il marito nel 2005), Olha non ha figli ma ha molti affetti familiari a cui è legatissima e che non la lasciano un secondo, almeno virtualmente: “Ho cinque nipoti, 7 e 11 anni, e tre più grandi, uno è nell’esercito. Sto in contatto continuamente con loro, con videochiamate, per loro è un grande stress sapermi al fronte, li tranquillizza sentirmi, non siamo mai stati lontani così tanto”.
Lei, che è al fronte dal 2014, spiega alcune differenze strategiche tra le due guerre: “Dal punto di vista strategico, sono molto diverse. Se per esempio nel 2014 era uno scontro di carri armati e artiglieria, ora ci sono razzi e bombe. Questa è la maggiore difficoltà, per questo è stata rasa al suolo Mariupol. Altrimenti saremmo già più vicini ai nostri confini e ci saremmo già ripresi quello che ci hanno rubato”. Come per molti suoi colleghi al fronte, l’ipotesi di una sconfitta non è contemplata, e la richiesta di armi incessante.
“Non è semplice, ma se ci verranno date le armi questa guerra finirà il prima possibile, entro Capodanno. E finirà con la ripresa dei nostri territori, dalla Crimea al Donbass”. Sì, perché questa guerra finirà, Olha ha le sue fonti certe. “I miei nipotini mi hanno detto al telefono che vinceremo. Le parole dei bambini dicono la verità. Io ci credo”.
(di Ilaria Floris)