(Adnkronos) – La tragedia della guerra è il volto delle sue vittime. Lo scorso 30 marzo nel convoglio umanitario attaccato dai russi che viaggiava con 5 bus nell’area di Chernihiv per portare medicinali indispensabili alla sopravvivenza di alcuni ed evacuare civili, c’erano tra gli altri due volontari dell’Ong 100% Life, un autista ed una ragazza di venti anni a cui il convoglio aveva inusualmente dato un passaggio. “Era surreale: un gruppo di soccorritori e una ragazzina con accanto una valigia ed in braccio un gatto, che stringeva forte al petto. Amici ci avevano chiesto con insistenza di portarla a Chernihiv. Voleva raggiungere ad ogni costo il fidanzato di cui era innamorata, per sposarlo in guerra, attraversando il fiume in barca, unico percorso ancora percorribile…”. Dmytro Sherembey, capo del Consiglio di coordinamento di 100% Life, che ha gestito dalla base operativa di Kiev ogni singolo movimento del gruppo, mostra all’Adnkronos via zoom due urne e dice: “oggi li abbiamo seppelliti. Questo è ciò che è rimasto di loro”.
La storia del convoglio umanitario di Chernihiv racconta l’eroismo della resilienza, ma anche del coraggio e dei sentimenti: “I nostri volontari hanno salvato 150 persone, facendo la staffetta tra il punto di raduno e l’imbarco al fiume. Ma un velivolo russo ha seguito ed attaccato il gruppo. La ragazza ha preso fuoco. Come uno dei due soccorritori. Entrambi morti sul colpo, mentre l’autista se ne è andato più lentamente, dissanguato per le ferite”, ricorda. “Chernihiv è in una situazione catastrofica da settimane, senza acqua, corrente elettrica, cibo, medicinali. Tentiamo di sostenerla ma l’unica via di accesso praticabile è il fiume perché tutti i ponti di ingresso alla città sono stati distrutti. Eppure …. non c’è stato modo di dissuadere quella ragazza…”. Dmytro Sherembey prosegue, vincendo la commozione e spiega che la procedura di evacuazione prevede uno stop a 10 km dalla città, in un punto di raduno.
“Mi hanno chiamato alle 9 per avvisarmi che erano quasi arrivati e che sul posto c’erano persone in attesa di essere evacuate; tre bus di un gruppo umanitario cristiano oltre ai nostri due. Dopo quella telefonata ho perso ogni contatto, perché l’area è sprovvista di connessione. So che hanno iniziato la staffetta, avanti e indietro perché si può procedere con un solo bus. Mentre un velivolo russo li osservava e poi bombardava bruciando 4 veicoli e danneggiando il quinto. Uccidendo i nostri uomini e chissà cosa è accaduto alla missione cristiana. I russi sapevano che era un convoglio umanitario; sapevano che c’erano civili e volontari. Ma hanno voluto danneggiare il più possibile, attendendo il momento più propizio”, conclude.
(di Roberta Lanzara)