(Adnkronos) – “Restare quello che si è, prima di tutto. E’ nel conservare la propria identità, svolgendone il filo con la maggiore coerenza possibile, che si gioca il destino delle democrazie, oggi sotto tiro. Perché ogni volta che le democrazie vengono prese d’assalto -dal fascismo, dal comunismo, dal terrorismo, e chi più ne ha più ne metta- il rischio di snaturarsi, di farsi trascinare altrove, di perdere di vista il proprio significato è sempre il rischio maggiore. Ancorché qualche volta sia il più nascosto.
Certo, ogni combattimento può indurre alla somiglianza. Ci si affronta con le armi allo stesso modo, e in quel contesto la cosa che conta è resistere di più, sparare di più, uccidere di più. Prevalere in una prova di forza implica per l’appunto essere più forti degli altri -punto e basta. Come i duellanti di Conrad si finisce per vedersi riflessi nel proprio nemico senza quasi più rendersi conto delle differenze che danno un senso all’essere l’uno contro l’altro.
Ora, le grandi sfide che le democrazie, occidentali e non, si sono trovate ad affrontare le hanno sempre esposte al pericolo dello snaturamento. Ed è ovvio che molte di queste sfide abbiano generato diffidenze, sospetti, arroccamenti. E perfino, a volte, qualche forma di isteria. Ci siamo sentiti minacciati dai nostri nemici, e talvolta ci è venuto il sospetto che la loro propensione ad aggredirci, o anche solo a fare la voce grossa, nascondesse la profezia del loro primato.
E però, ne siamo sempre usciti bene, più o meno bene. E in fondo la capacità di combattimento del popolo ucraino, che con una mano si difende dall’aggressione russa e con l’altra mano cerca di aggrapparsi alla prospettiva europea, finisce per essere una metafora di tutti noi: europei, atlantici, democratici, liberali, pacifici. Come se la guerra calda che si combatte su quel territorio fosse un residuo doloroso di quella guerra fredda che abbiamo combattuto e vinto attraversando quasi mezzo secolo di alti e bassi -dal trattato di Yalta alla rivoluzione ungherese, dall’invasione della Cecoslovacchia alla caduta del muro di Berlino.
Naturalmente la capacità di espansione del nostro modello è costantemente messa in forse da mille fattori. Nel mondo i modi di organizzazione dei paesi, dei sistemi e delle culture politiche sono un’infinità, e tra essi hanno ancora un vigore assai minaccioso le dittature e i fanatismi. I quali scommettono le loro fortune sulla convinzione che alla fine dei giochi noi -europei, atlantici, democratici, liberali, pacifici- siamo troppo abituati alle nostre comodità, troppo irretiti dal nostro spirito tollerante, troppo legati alla dolcezza della nostra vita per difendere armi in pugno le nostre persone e i nostri territori.
E’ stato questo il calcolo di Putin. Difendere l’Ucraina è il nostro modo di dargli torto, un torto ancora maggiore tra i tanti che ha. Ma contrastare quel calcolo richiede qualcosa di più di una tenuta logistica, militare, organizzativa, assistenziale. Richiede appunto di non perdere mai di vista il significato della democrazia che siamo. E dunque, per la stessa ragione, richiede di tenerci alla larga dal fanatismo, dall’eccesso di zelo, dal culto di noi stessi e dei nostri modelli di vita e di organizzazione politica. In altre parole dobbiamo essere capaci di sconfiggere le disumane pretese dell’autocrate stando ben attenti a non correre mai nessun rischio di finire col somigliargli -sia pure inavvertitamente.
Si tratta di conciliare il vigore e l’indignazione con cui si fronteggia e all’occorrenza si combatte la prepotenza con la consapevolezza che il nostro modo di stare al mondo è tutto un altro, e che quel modo, così nostro, non si perderà nel fragore della lotta e nel ribollire dei risentimenti. Come a dire che la dicotomia amico/nemico è talvolta l’eccezione ma non può mai diventare la regola del consorzio dei popoli (e dei loro fin troppo multiformi regimi).
Le democrazie si nutrono, essenzialmente, della loro capacità di pensare e organizzare la convivenza. All’interno, tra i cittadini. E all’esterno, verso altri paesi, altri popoli, altre culture. Le democrazie sono tali perché quel valore, lo spirito di convivenza, resta un punto fermo anche quando il mondo appare come la valle infuocata in cui il bene e il male stanno combattendo la loro guerra definitiva.
Prevalere restando noi stessi, fino in fondo. E’ questa la difficilissima prova a cui oggi siamo chiamati”.
(di Marco Follini)