(Adnkronos) – “Correvano gli anni ottanta del secolo scorso. Appena imbarcato sull’aereo che da Mosca lo riportava a Roma, all’indomani della sua visita a Gorbaciov, come prima cosa Ciriaco De Mita pensò bene di informarsi su quello che stava capitando nel suo partito e nel suo collegio elettorale. Un vezzo da prima repubblica, si dirà. E invece quell’attenzione al suo territorio era un tributo ad alcune regole eterne della vita politica.
Di ritorno dagli Stati Uniti il presidente Draghi dovrebbe forse dedicare la stessa attenzione al cortile di casa. Laddove il governo attraversa un certo numero di difficoltà e deve far fronte a un certo numero di conflitti. Il primo di questi conflitti è stato quello che s’è combattuto, appena pochi mesi fa, intorno al Quirinale. Con esiti forse non proprio brillanti per il capo del governo. Il secondo è per così dire endemico: la campagna elettorale, di fatto già in pieno spiegamento a meno di un anno dalla convocazione dei comizi. E il terzo, che vi è strettamente intrecciato, è la legge di bilancio, l’ultima che viene affidata a questo Parlamento.
Si aggiunga a tutto ciò il conflitto più estremo e drammatico: quello della guerra all’Ucraina. Che per un verso dovrebbe stabilizzare l’esecutivo e indurre semmai a non dare peso eccessivo alle controversie di casa. E per un altro verso invece finisce con l’accendere una controversia ancora più grave, con il riemergere dell’asse gialloverde e con la radicalizzazione del grillismo versione Conte. Obiezioni e mugugni che paradossalmente proprio l’enfasi posta da Draghi sulla solidarietà atlantica in questo frangente rischia di rendere ancora più insidiosi.
Questo insieme di difficoltà avrebbe indotto in altri tempi i leader di allora a sedersi intorno a un tavolo cercando per quanto possibile di limare e attenuare le loro divergenze. E avrebbe indotto i premier dell’epoca a loro volta a cercare di parlare più direttamente all’opinione pubblica. Senza eccessi plebiscitari ma anche senza le remore di una esagerata discrezione. Antiche consuetudini che potrebbero ora tornare utili all’attuale presidente del consiglio.
Si dirà che Draghi non è tipo né da troppi negoziati politici né da troppi discorsi pubblici. Ma il momento gli chiede ora qualcosa in più. E’ evidente infatti che andare in ordine sparso per mesi e mesi, fino all’ultimo giorno di legislatura espone il governo e il paese a un logoramento destinato a farsi via via più pericoloso. E per quanto i vertici di maggioranza possano sembrare come la celebrazione di riti ormai desueti, ci dovrà pur essere un attimo in cui i leader si radunano intorno a un tavolo e si parlano con un di più di reciproca sincerità.
Ma soprattutto è l’opinione pubblica che ha diritto a chiedere -e forse a pretendere- qualche lume in più. Infatti tra la pandemia, la guerra, la poca crescita e qualche nostro più antico e consueto difetto noi stiamo accumulando un debito pubblico che fa, letteralmente, impressione. Sarà pure, in parte, debito “buono”, come ebbe a dire proprio Draghi in veste di guru dell’economia. Ma tutto quel debito sarà destinato a pesare su intere generazioni se nel frattempo il volano dell’economia non riprenderà a girare a pieno, pienissimo regime. Cosa auspicabile ma non propriamente certissima.
Ora, questi temi appartengono al domani e perfino al dopodomani, e i partiti (da sempre, a dire il vero) ci girano intorno con una disinvoltura degna di miglior causa. Eppure dovrebbe essere proprio questo l’argomento principe della nostra disputa pubblica. E cioè, come ridurre quel debito, come gestirlo, come amministrarlo nel tempo. E se le forze politiche si tengono alla larga dalla questione, tanto più dovrebbe essere Draghi a spiegare come fare per non ipotecare il futuro delle generazioni che verranno. Sarebbe un buon modo per dare un senso più profondo alla sua azione di governo e per segnalare ai suoi riottosi sostenitori in Parlamento che il più competente di loro per una volta -una sola- è anche il più loquace.
(di Marco Follini)