(Adnkronos) – “Chiedo alle organizzazioni internazionali, ai governi esteri, ai media, a chiunque abbia la possibilità di parlare alle delegazioni russe di chiedere la liberazione di mio figlio. Non un militare, non un militante, ma uno studente di appena 16 anni. Un angelo tra i tanti bambini colonne del mondo, sequestrati da Mosca e che vanno liberati”. E’ l’appello che Oleg Buryak, capo dell’Amministrazione militare del distretto di Zaporizhia e padre di Vlad, adolescente prigioniero dei russi da 61 giorni, lancia attraverso l’Adnkronos tra pause dovute alla commozione e lacrime che rigano il suo volto, pietrificato dal dolore…
Oleg Buryak soggiunge: “Non deve cadere una lacrima dai suoi occhi, né da quelli degli altri minori suoi connazionali”. Perché la storia di Vlad è quella di un adolescente generoso, responsabile e protettivo, un eroe di tutti i giorni che non indossa giubbotti antiproiettile, ma lo scudo dell’assennatezza di chi è figlio di genitori separati: “Viveva con la mamma e la sorellina a Melytopol, io a Zaporizhia con due figli dal secondo matrimonio. Ho tentato immediatamente dopo l’invasione di convincere la mia ex moglie a lasciare Melytopol, ma è voluta restare perché non ne vedeva l’utilità e per curare il padre malato di cancro. Così ha desiderato fare anche Vlad, che ha appoggiato la madre – ricorda – Avendo accesso ad informazioni riservate ho continuato a sollecitare la mia ex moglie. Finalmente il primo aprile ha accettato di partire. Ho organizzato l’evacuazione, ma Vlad è voluto restare a Melytopol per assistere il nonno materno ormai in fin di vita e mio padre, vecchio e bisognoso di assistenza”.
Oleg Buryak fa una lunga pausa, quindi si riprende: “Pochi giorni dopo la partenza della madre e della sorella, che adesso sono rifugiate a Lugano, in Svizzera, alle 5.45 dell’8 aprile è morto il nonno materno. Vlad continuava ad essere restio a partire. Non voleva abbandonare mio padre”. A questo punto il Capo dell’Amministrazione militare di Zaporizhia si impone con il figlio: “E’ un ordine. Devi andar via. Salvare la tua vita. Al nonno ci penso io”. Vlad sale a bordo di un pullman diretto a Zaporizhia con altri, tra cui una famiglia di amici. Il bus è giunto al posto di blocco di Vasylivka. Un militare russo è salito a bordo: “Ha visto mio figlio intrattenersi con il telefonino, come fanno tutti i ragazzi della sua età. Il gesto non gli è piaciuto, lo ha fatto scendere dal pullman, condotto in una caffetteria trasformata in centro di filtraggio, dove dal cognome sono risaliti a me. Da quel momento Vlad è ostaggio dei russi”.
Dalle parole di Buryak si percepisce la sua disperazione per il non essere un padre qualunque e allo stesso tempo il flebile sollievo che il figlio sia un “ostaggio privilegiato”. Percezioni che raccontano la folle discrepanza della guerra, da cui deriva il senso di impotenza di un popolo. “Il mio cognome ha trasformato mio figlio in un ostaggio”, dice il Capo dell’Amministrazione. Lo ha fatto anche il gesto eroico di voler accudire il nonno? “Questi sono i valori che gli ho trasmesso – risponde all’Adnkronos – Ne sono orgoglioso. Vlad si è diviso fra due case, voleva restare nonostante non ci fosse il bisogno. Quando gli ho ordinato di andar via, di salire sull’autobus perché i nonni hanno avuto la loro vita e lui invece no, mi ha detto tu ne hai 4….Ma non si conta il numero dei figli, gli ho risposto. Ciascuno di voi è nato nell’amore. Il mio compito è proteggere tutti voi finche sarò vivo. Devi andare, salvare la tua vita. Al nonno ci penso io”.
Vlad Buryak è vivo. Da quando è stato trasferito da Vasylivka in altra località non definita parla con lui tutti i giorni, perché gli è stato restituito il cellulare. “E’ in corso un difficile processo di negoziati. Non posso rivelare nulla di ciò che ha visto o sentito. Solo dire che ha una sua stanza, non è stato picchiato o molestato psicologicamente perché lo ritengono un ostaggio prezioso. Ma Vlad non è un militare. Non sa nulla. Questo – conclude – è un rapimento di minore”. Oleg Buryak si è appellato per la liberazione del figlio tra gli altri anche alla rappresentanza Onu in Ucraina; mentre la madre ha chiesto la mediazione della Croce Rossa Internazionale.
(di Roberta Lanzara)