(Adnkronos) – Non solo geni o bersagli molecolari da colpire con terapie anticancro mirate. L’oncologia di precisione oggi va ben oltre questo orizzonte. La prevenzione dei tumori diventa personalizzata grazie all’identificazione di precise alterazioni molecolari che consentono di individuare gruppi di popolazione a rischio. E, nei trattamenti, il modello da seguire è quello mutazionale, in cui vanno considerate tutte le alterazioni subite dall’organismo, a seguito delle modificazioni dell’ambiente individuale ed esterno, che possono avere un ruolo nello sviluppo del cancro e nella scelta della terapia. Le nuove frontiere sono delineate oggi a Roma all’Università Sapienza al ‘World Health Summit Regional Meeting – Europe’, nella sessione dedicata all’oncologia di precisione, moderata da Paolo Marchetti, direttore scientifico Idi Irccs di Roma, ordinario di Oncologia all’Università Sapienza e presidente della Fondazione per la medicina personalizzata, e da Khay-Guan Yeoh, professore di Medicina all’Università di Singapore.
“La prevenzione diventa personalizzata perché può essere basata su modelli di medicina di precisione, attraverso l’identificazione di specifici determinanti genomici legati a un aumentato rischio di sviluppare il cancro – afferma Marchetti – In questo ambito rientra una serie di interventi per individuare il tumore in fase iniziale oppure per evitare l’insorgenza della malattia. Ad esempio, alle donne con mutazione del gene Brca, che rappresenta un fattore di rischio per il tumore del seno, possono essere proposti programmi di screening mammario più frequenti, che rientrano nella prevenzione secondaria, oppure il trattamento con inibitori dell’aromatasi o antiestrogeni, ancora all’interno di studi clinici, per potenziare la prevenzione primaria. Così possiamo salvare più vite e garantire risparmi al sistema sanitario”.
I temi relativi alla prevenzione personalizzata sono illustrati al meeting da Stefania Boccia, professore di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.
“La patologia molecolare è un elemento cardine dell’oncologia di precisione – continua Marchetti – La mutazione genetica non può più rappresentare la soluzione del problema. E’ necessario imparare a studiare non più solo le singole alterazioni, ma le modificazioni complessive delle vie di segnale cellulare. Così il patologo molecolare può fornire al clinico informazioni decisive per la scelta della terapia. Ad esempio, un paziente con un alto carico mutazionale, teoricamente candidato all’immunoterapia, deve essere indirizzato a un’altra cura in presenza di una mutazione che blocca la risposta all’immunoterapia”.
“Il cosiddetto modello istologico ha governato a lungo la ricerca clinica in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica – conclude Marchetti – In questo approccio, il punto di partenza è rappresentato dall’organo da cui la malattia ha origine, a cui seguono l’esame istologico, l’identificazione di eventuali alterazioni molecolari e la scelta del farmaco, attraverso un percorso di selezione dei pazienti che hanno maggiori probabilità di rispondere al trattamento. Il modello istologico è stato superato da quello agnostico, in cui le terapie oncologiche sono scelte indipendentemente dalla sede del tumore sulla base di specifiche alterazioni genomiche o di particolari aspetti molecolari presenti in tumori diversi, che rappresentano il bersaglio cellulare. E oggi il nuovo modello è quello ‘mutazionale’ in cui devono essere considerate tutte le alterazioni subite dall’organismo, includendo anche il microbiota, cioè l’insieme di miliardi di miliardi di microrganismi che vivono nel corpo fornendo un supporto essenziale alla nostra vita”.