Home ATTUALITÀ Trombosi venosa terzo killer: cos’è, come riconoscerla e prevenirla

    Trombosi venosa terzo killer: cos’è, come riconoscerla e prevenirla

    (Adnkronos) – Si celebra oggi 13 ottobre il World Trombosis Day, la Giornata mondiale del tromboembolismo venoso (Tev). Trombosi venosa ed embolia polmonare fanno registrare ogni anno 10 milioni di casi a livello globale. Dopo la cardiopatia ischemica e l’ictus cerebrale ischemico, il Tev è la malattia cardiovascolare più frequente: è al terzo posto fra le cause di morte nella popolazione generale e al primo posto nei pazienti ospedalizzati. Ma mentre il tromboembolismo arterioso, all’origine di infarto e ictus, è più noto al grande pubblico, il Tev lo è molto di meno e il suo impatto ben poco percepito. La Fondazione per il Tuo cuore dell’Anmco, Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, insegna a riconoscerlo e a prevenirlo. “Conoscere la trombosi significa curarla e salvare vite”, afferma il presidente di per il Tuo cuore, Domenico Gabrielli. Se sai come agisce il nemico, anche il Tev, puoi anticiparne le mosse.  

    La trombosi venosa profonda – ricordano gli esperti – si verifica quando si forma un trombo (coagulo di sangue) in una vena profonda, solitamente nelle gambe. A volte un frammento di trombo si stacca, migra nei polmoni e provoca l’embolia polmonare, una complicanza potenzialmente letale della trombosi venosa profonda. Il tasso di incidenza del Tev è generalmente più elevato nelle donne in età fertile, complice probabilmente l’uso di contraccettivi ormonali e la gravidanza, mentre è più alto negli uomini dopo i 45 anni. Il tromboembolismo venoso “è in costante aumento – segnala Gabrielli – per diversi motivi fra i quali l’allungamento della vita media, l’incremento della chirurgia geriatrica e delle patologie traumatiche”. 

    “Gonfiore, rossore e dolore a un arto inferiore, tosse, mancanza di fiato, febbricola e dolore al petto, addirittura perdita di coscienza”. I sintomi più frequenti del Tev sono questi, spiega Claudio Picariello, Chairman Area Malattie del circolo polmonare Anmco. Però “possono essere sfumati, non tutti presenti, o ricordare altre patologie frequenti come polmonite, scompenso cardiaco, aritmie, complicando e rallentando il percorso diagnostico-terapeutico. Non per niente l’embolia polmonare viene chiamata ‘la grande simulatrice’ e quando un paziente si presenta in pronto soccorso con una perdita di coscienza transitoria, tra le possibili cause bisogna sempre escludere il Tev”.  

    Ma perché si forma un trombo in vena? “Molti dei fattori di rischio per il tromboembolismo arterioso lo sono anche per il Tev, come obesità, fumo e malattie infiammatorie intestinali”, elenca lo specialista. Pesano anche “l’immobilità prolungata, fratture o esiti di chirurgia ortopedica e l’assunzione di estroprogestinici, specie in caso di familiarità per Tev”. Banalmente, “un prolungato viaggio aereo, se non interrotto da momenti di stretching muscolare o blande passeggiate, aumenta il rischio”. Infine, “i pazienti con tumore hanno un elevato rischio di Tev, che si riscontra incidentalmente alle Tac di stadiazione”. 

    “E’ molto importante aumentare la sensibilità tra la popolazione sui meccanismi della trombosi e dell’embolia polmonare, problematiche altamente prevenibili – assicura Gabrielli – che possono provocare un evento drammatico e spesso mortale. Se ci si focalizza ad esempio sui pazienti ricoverati, solo 25 su 100 sanno che il fatto stesso di essere ricoverati in ospedale aumenta la probabilità di trombosi”. Oggi, rileva il numero uno della Fondazione per il Tuo cuore, “tra la popolazione c’è poca consapevolezza sulla prevenzione del Tev soprattutto dopo incidenti, traumi o ricoveri ospedalieri”: situazioni in cui “la profilassi con eparina a basso peso molecolare per periodi limitati è fondamentale, adeguata al peso corporeo”. L’esperto rimarca che “anche l’infezione da Sars-CoV-2 si e mostrata essere un fattore di rischio Tev, per fortuna transitorio, e in alcune situazioni va concordato col medico curante se intraprendere una profilassi eparinica sottocutanea”.  

    “Sicuramente – prosegue Gabrielli – insistere su un corretto stile di vita (attività fisica moderata, astensione dal tabagismo, dieta a basso contenuto di sale e grassi, idratazione adeguata) aiuta non solo la circolazione arteriosa, ma anche quella venosa. In alcune situazioni – suggerisce – per la prevenzione del Tev è opportuna anche la collaborazione con altri specialisti, come i ginecologi in caso di assunzione di anticoncezionali, che devono fornire adeguato counseling in determinate situazioni (pazienti sovrappeso, fumatrici o con storia familiare di Tev), e gli oncologi vista l’elevata incidenza di Tev nei pazienti neoplastici”.  

    Ci sono buone abitudini anti-Tev nella vita di tutti i giorni: “Innanzitutto attività fisica regolare, abolizione del fumo, corretta alimentazione e peso corretto”, raccomanda il presidente di Fondazione per il Tuo cuore. Ancora: “E’ bene evitare di restare seduti per lunghi periodi e ad esempio nel caso di viaggi ad ampio raggio il consiglio è quello di indossare vestiti leggeri, sgranchirsi le gambe, idratarsi e bere acqua in abbondanza”. Meglio “valutare inoltre la predisposizione in famiglia all’ipertensione, e se il proprio medico di fiducia lo ritiene opportuno, intensificare i controlli della circolazione sanguigna. In caso di ricoveri prolungati, è molto importante discutere con l’operatore sanitario sui metodi di prevenzione e sui fattori di rischio. Le calze a compressione possono essere utili in caso di specifici fattori di rischio, come la presenza di vene varicose o intervento chirurgico”. 

    Sul fronte terapeutico, “gli anticoagulanti rappresentano il trattamento di prima linea, poiché impediscono al sangue di coagularsi e ai coaguli esistenti di aumentare di dimensioni”, descrive Gabrielli. “I nuovi anticoagulanti orali” o Nao “hanno quasi completamente sostituito il caro vecchio warfarin – puntualizza – in quanto di pari efficacia e maggiore sicurezza, in mono o doppia somministrazione giornaliera, e non richiedono frequenti controlli dei tempi di coagulazione”. Questi farmaci “possono essere prescritti in casi specifici, quali un precedente episodio” di Tev, “un periodo post-operatorio o un ricovero. Poiché alcune strategie di prevenzione possono fermare lo sviluppo di trombi negli individui a rischio, è importante identificare e quantificare il rischio individuale attraverso le caratteristiche personali e la storia familiare. Nonostante l’esistenza di linee guida di provata efficacia a supporto della profilassi del Tev – osserva lo specialista – è necessario migliorare l’aderenza alle linee guida e fornire cure appropriate ai pazienti a rischi”. 

    Picariello insiste sull’importanza che il Tev venga individuato quanto prima in ospedale, fra chi arriva in pronto soccorso. “Molti dei sintomi di esordio sono aspecifici e spesso sottovalutati – avverte l’esperto Anmco – come la triade dell’embolia (tosse, mancanza di fiato, dolore toracico). Non sempre sono presenti segni di trombosi venosa profonda evidente (gonfiore rossore e dolore a un arto), a volte addirittura il paziente ha caratteristiche cliniche ed elettrocardiografiche che ricordano un infarto miocardico. E soprattutto, in caso di sincope o perdita di coscienza transitoria, diversi studi autoptici dimostrano che non si pensa ancora al Tev come prima diagnosi in pronto soccorso, ma spesso la diagnosi viene fatta all’autopsia”.  

    Quanto alle terapie in emergenza, “in casi di gravità clinica estrema (stato di shock) – conclude lo specialista – oltre alla trombolisi sistemica con farmaci molto potenti, sta prendendo piede l’idea di una ‘angioplastica ed aspirazione’ degli emboli sulla scia dell’angioplastica primaria sulle coronarie per l’infarto miocardico acuto. La diagnosi precoce in pronto soccorso e la relativa terapia anticoagulante già al sospetto clinico è fondamentale”.