Ad oggi la procura generale di Palermo, allapertura del processo dappello per la mancata cattura di Provenzano, ha chiesto la riapertura del caso e lacquisizione di nuovi documenti perché durante il primo processo non si era a conoscenza di alcuni fatti accertati solo successivamente. Attualmente il processo è ancora in corso, verranno esaminate le testimonianze dei pentiti e il 2 ottobre ci sarà la prima udienza. Nel processo sono coinvolti i boss mafiosi Riina, Provenzano, Cinà, Bagarella, gli ufficiali delle forze dellordine Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno e alcuni politici tra i quali lex ministro dellInterno Nicola Mancino, che è stato anche vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Calogero Mannino, ex ministro democristiano, e Marcello DellUtri, ex senatore del PdL. A questi nomi si devono aggiungere quello di Giovanni Brusca e Massimo Ciancimino. Brusca fu il primo a parlare del papello, un documento consegnato da Ciancimino che conta dodici richieste da parte di Cosa Nostra allo Stato, tra cui le rettifica della sentenza del Maxiprocesso e lannullamento dellarticolo 41bis. Tra il 2012 e il 2013, Nicola Mancino fece numerose telefonate a Loris DAmbrosio, consigliere di Giorgio Napolitano, per lattivazione del programma antimafia nazionale. Vi furono telefonate anche direttamente con il presidente della Repubblica ed intercettando Mancino, la procura di Palermo intercettò anche Napolitano. Si pose subito il problema se le conversazioni del presidente in carica potessero essere intercettate o se dovessero essere subito eliminate, ma la Corte costituzionale ordinò la distruzione delle intercettazioni. I magistrati di Palermo continuarono ad indagare a causa di alcune frasi scritte da DAmbrosio in una lettera: Ho il timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993. Napolitano è quindi chiamato a testimoniare proprio per riferire di queste frasi. La decisione viene presa, il 25 settembre, al termine delludienza in cui lex segretario Dc De Mita si confronta duramente con i pm di Palermo. Prendo atto dell’odierna ordinanza della Corte d’Assise di Palermo ha dichiarato il capo dello Stato -. Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza, secondo modalità da definire, sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso”. Lo scorso novembre, Napolitano aveva inviato una lettera al presidente della Corte nella quale diceva di non aver avuto “ragguagli” o “specificazioni” da D’Ambrosio riguardo ai quei timori e, pertanto, di non avere “da riferire alcuna conoscenza utile al processo”. Nonostante ciò il collegio ha ritenuto necessaria la testimonianza. Nei prossimi giorni la corte dovrà concordare con il Quirinale la data della testimonianza che verrà concessa alla sola presenza dei pm e dei difensori, concorde allarticolo 205 di procedura penale che prevede tassativamente che il capo dello Stato debba essere sentito dai magistrati nel luogo dove svolge le sue funzioni, quindi il Quirinale, a parte chiuse. La corte motiva la decisione di far testimoniare Napolitano asserendo che non si possa escludere il diritto delle parti di chiamare un testimone su fatti importanti per il processo solo perché il suddetto esclude di essere informato sui fatti stessi. E continua “il dato negativo, riguardo alla conoscenza di determinati fatti, potrebbe assumere una valenza non necessariamente neutra nel contesto delle altre acquisizioni probatorie e della loro valutazione interpretativa”.