(Adnkronos) – Ogni anno solo il 50% dei pazienti in lista di attesa per un trapianto viene sottoposto ad intervento e di questi 1 su tre sviluppa un’infezione da Citomegalovirus (Cmv). È quanto emerso dal convegno “La donazione, una ricchezza da non sprecare. L’infezione da Citomegalovirus, una minaccia nel post trapianto”, organizzato a Milano con il contributo non condizionante di Takeda. Per i maggiori esperti, che si sono dati appuntamento presso il Centro Svizzero, contro il patogeno molto diffuso è “necessario investire su assistenza post-intervento, screening sul territorio e approccio multidisciplinare”.
Negli individui immunocompetenti il Cmv – si legge in una nota – è generalmente asintomatico o latente, mentre in quelli con compromissione immunitaria, come per i pazienti sottoposti a trapianto, può portare al verificarsi di gravi complicanze, in particolare a occhi, polmoni, fegato, esofago, stomaco, intestino e sistema nervoso centrale, infezioni e anche perdita dell’organo trapiantato. Nel 2021, in Italia, il 27% dei pazienti sottoposti a trapianto – dettaglia la nota – ha sviluppato infezione da Cmv, a seguito della procedura, generando un elevato tasso di ospedalizzazione, che impatta sulla vita del paziente, oltre che sui costi del Sistema sanitario regionale. Attualmente, il modo migliore per limitare il rischio di contagio è un’attenta igiene personale, soprattutto per le categorie di persone più vulnerabili alla malattia.
Ad aprire i lavori del convegno, Massimo Cardillo, Direttore generale del Centro nazionale trapianti (Cnt), che ha sottolineato come “il numero delle donazioni è cresciuto e sta crescendo così come ci dicono i dati dei primi mesi del 2023: confrontandoci, in Europa, siamo lontani dal benchmark spagnolo, ma in linea con altri Paesi. È in ogni caso importante non nascondere le criticità. Ad oggi – spiega Cardillo – non tutti i pazienti che hanno bisogno di un trapianto riescono ad ottenerlo: da una parte abbiamo il 30% del campione italiano che si oppone alla donazione. Queste percentuali di opposizioni, anche superiori al 50% registrate negli anziani, probabilmente sono causate da vari fattori, non ultimo quello di pensare di non essere idonei alla donazione. Dobbiamo insistere, sappiamo che oggi non ci sono controindicazioni alla donazione legate all’età. Su questo è prioritario lavorare attraverso campagne di comunicazione e informazione in sinergia col Ministero della Salute e con tutte le associazioni. Il secondo problema si può ricondurre all’identificazione dei potenziali donatori. Dobbiamo migliorare l’organizzazione dei piani regionali: abbiamo circa 8.000 pazienti in attesa”.
Negli ultimi anni ci sono stati “dei miglioramenti grazie al monitoraggio post-trapianto – non ha dubbi Corrado Girmenia del Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo (Gitmo) – quindi implementare strategie di questo tipo è indispensabile”. Il “Citomegalovirus rappresenta la principale complicanza infettiva – rimarca Paolo Grossi, Direttore S.C. Malattie Infettive e Tropicali (ASST dei Sette Laghi Varese) – è necessario costruire team multidisciplinari in grado di gestirne le complicanze. Fortunatamente, la percentuale di sopravvivenza nel 2023 si attesta al 90%, un risultato che rende il trapianto una procedura efficace”.
Ad approfondire la necessità di un approccio integrato Fausto Baldanti, Direttore Uoc microbiologia e virologia Irccs Policlinico San Matteo di Pavia: “L’interdisciplinarietà è indispensabile, anche nella formazione. Gli studenti devono poter acquisire le competenze necessarie sul tema già nel percorso curricolare e non solo nelle scuole di specialità. Altro punto fondamentale nel 2023 è l’aggiornamento degli schemi diagnostici per cui clinici, infettivologi, trapiantologi e medici microbiologi possano interpretare in modo efficace e integrato i dati, così da poter giungere ad una migliore gestione del paziente”. Fondamentale investire sulla “condivisione dei dati” e su una “corretta informazione medico-paziente – evidenzia Tiziana Nicoletti, responsabile Cnamc Cittadinanzattiva – rapporto che negli ultimi anni è entrato in crisi proprio a causa di una minore reciprocità. Il processo informativo è fondamentale che avvenga gradualmente e basandosi sulla fiducia”.
Sul tema della comunicazione ai cittadini, fondamentali sono le associazioni di volontariato. Come ha spiegato Flavia Petrin, Presidente Aido, “la conoscenza è alla base della scelta. Noi lavoriamo perché la gente opti per la donazione in vita e lo faccia raccogliendo tutte le informazioni necessarie. Dire “sì” non costa niente ed è una scelta per la vita. La tecnologia in questo momento ci supporta per diffondere più possibile la conoscenza. Da aprile sarà possibile dire “sì” anche attraverso la Cie”.
“Il nostro obiettivo è dialogare con le società scientifiche – spiega la senatrice Elisa Pirro dell’Intergruppo parlamentare donazione e trapianto – con il Cnt, con le associazioni dei pazienti. Vogliamo arrivare con delle proposte basate sulle reali necessità. È fondamentale che si disponga di un nuovo paradigma gestionale e omogeneo su tutto il territorio nazionale, che consenta procedure più rapide e adeguate dotazioni professionali ed economiche. Come Intergruppo il nostro desiderio è supportare il mondo scientifico e il mondo politico per far sì che si possa lavorare in sinergia come una squadra per implementare attività di primaria importanza come le campagne di screening per il Cmv e promuovere l’aderenza terapeutica presso la comunità dei pazienti.”
Per Giuseppe Piccolo, direttore del Centro regionale trapianti della Lombardia “la Regione per tanti anni ha valutato l’eccellenza dei trapianti misurandola attraverso un numeratore. Adesso è necessario adottare un programma regionale con obiettivi comuni e sistemi di misurazione omogenei. A febbraio 2023 abbiamo superato la media nazionale e per proseguire nella corretta programmazione di donazione e trapianto abbiamo bisogno che gli ospedali mantengano elevato il livello di attenzione sul tema”. Anche Piccolo ha voluto sottolineare l’importanza di un approccio sistemico e integrato: “siamo una rete. Il buon esito del percorso appartiene a tutto il gruppo di lavoro coinvolto, ma anche al paziente, che rimane l’amministratore unico del bene ricevuto”.
“L’approccio Takeda alle malattie rare – sostiene Andrea Degiorgi, Rare Business Unit Head Takeda Italia, azienda leader nel settore biofarmaceutico – è incentrato sull’intero percorso del paziente. La donazione è una ricchezza da salvaguardare anche attraverso il miglioramento dell’assistenza post-trapianto, la promozione della ricerca e dell’innovazione, la condivisione di dati ed esperienze e il monitoraggio efficace dell’aderenza terapeutica.” Per questo, prosegue, “bisogna lavorare per ridurre il rischio di infezioni, come quelle da Citomegalovirus, che colpiscono quasi 1 paziente su 3 nel post-trapianto. Si tratta di un danno enorme per la vita del paziente, con impatto anche sul Sistema sanitario regionale. In questo senso, l’approccio multidisciplinare e la visione integrata e sistemica risultano fondamentale”.