“L’accordo raggiunto a Palazzo Chigi sul blocco dei licenziamenti impone almeno due tipi di valutazione: una di tipo politico-sindacale e l’altra di taglio tecnico relativa ai contenuti e al merito della intesa. Sotto il primo aspetto la soluzione accolta mi pare ragionevole e non può che essere salutata positivamente. In un clima di ripresa e forte fiducia l’esplosione di una “bomba sociale”, usando le parole del ministro Lamorgese, sarebbe stata devastante e dagli effetti imprevedibili”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia, Michele Tiraboschi, professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt associazione di studi sul lavoro fondata nel 2000 da Marco Biagi. “Con l’accordo il clima si rasserena e ne escono tutti vincitori. Il sindacato, indubbiamente. Ma anche le imprese che non perdono manodopera qualificata potendo contare su una cassa integrazioni supplementare. Ma anche Draghi e chi con lui nel Governo ha lavorato per questa intesa ne escono vincitori e rafforzati”, sottolinea Tiraboschi. “Il messaggio a un Paese provato dalla pandemia e dalle restrizioni alla libertà personale è molto forte. I lavoratori, che hanno tenuto in piedi l’economia anche nei momenti di massima emergenza, non vengono abbandonati al lavoro destino. Si è cioè preso atto che logiche e razionalità puramente economiche non sarebbero state positive per la coesione sociale che è decisiva per accompagnare la ripresa in atto”, conclude Tiraboschi.
“Nessun problema su tenuta costituzionale”
Per l’avviso comune firmato da Governo e parti sociali sullo sblocco dei licenziamenti “non vedo problemi sul piano della tenuta costituzionale visto che si tratta di una ragionevole applicazione del principio di uguaglianza che impone trattamenti situazioni diverse e cioè rispetto a settori più o meno colpiti dalla crisi” dice ad Adnkronos/Labitalia, Michele Tiraboschi- “Certo è che resta tutta da vedere l’operatività della misura rispetto alla fruibilità concreta – e non solo sulla carta – di tutta la “cassetta degli attrezzi” a disposizione di imprese e lavoratori , per usare una definizione cara al ministro Brunetta che più di altri si è speso per questa soluzione nella cabina di regia. Aspettiamo aggiustamenti normativi e circolari applicative per capire esattamente gli sviluppi”, aggiunge il giuslavorista. “Se mai, sempre sul piano tecnico e di analisi di relazioni industriali si possono sollevare due rilievi -osserva Tiraboschi-. Il primo è che il vero problema del nostro Paese oggi non sono i licenziamenti, che già ci sono stati e che hanno penalizzato soprattutto giovani e donne rispetto alle forme di lavoro temporaneo. Il tema è quello delle trasformazioni del lavoro e delle misure per accompagnare una transizione professionale con strumenti che oggi mancano o sono molto deboli sia sul lato pubblico (politiche attive) che sul lato delle relazioni industriali. In secondo luogo si può ritenere che l’intesa, per quanto politicamente significativa, è troppo limitata ad alcuni storici capitoli del mercato del lavoro italiano (licenziamenti, politiche attive, ammortizzatori) e non si estende a un patto sociale a tutto campo come fu l’accordo del 1993 sotto la guida Ciampi-Giugni che ha fatto la storia del nostro Paese e non solo delle nostre relazioni industriali”, conclude. (di Mariangela Pani)