“Il primo libro che ho letto sugli spaghetti western, vi si riferiva come all”opera lirica della violenza’. Ebbene, l’opera lirica della violenza è ciò che ho cercato di fare per tutta la carriera”.
E’ lo stesso Quentin Tarantino a spiegare la sua idea di cinema, ad oggi universalmente riconosciuto come un ‘fare cinema’ assolutamente personale, ed identificabile proprio nell’imprevedibilità dei suoi personaggi che, tra accenni di splatter, e fugaci incursioni nella demenzialità, mai stonano nell’ambito della coralità dei suoi chiaroscurati copioni.
Del resto il regista non ha mai nascosto il suo ‘fanatismo’ per il cinema italiano e, a Roma per presentare la sua nona pellicola – ‘C’era una volta… a Hollywood‘ – attraverso un pratico raffronto, ne approfitta proprio per parlare di cinema: “Il cinema è molto diverso da quando ho cominciato, negli anni ’90, figuriamoci dal 1969. Una volta si percepiva la passione infusa nel creare set e sequenze d’azione fantastici, per farli davvero, senza effetti speciali. È un’arte che stiamo perdendo, e la cosa mi preoccupa.”
Poi, quale ennesimo atto di amore e rispetto nei confronti del nostro Paese, Tarantino tiene a ribadire che anche in questa sua ultima fatica c’è un omaggio al cinema italiano: “Ho sempre amato le variazioni italiane sui generi cinematografici western, giallo e commedia sexy, persino il peplum. I registi italiani li hanno reinventati a modo proprio, ed è una cosa che ammiro. Il loro amore, l’entusiasmo per il cinema, è contagioso”
Entrando nel merito, il film, che in qualche modo racconta la Los Angeles hollywoodiana vacillante a causa dei moti studenteschi, e che di li a pocò di ‘desterà’ dal sogno con il brutale ed efferato massacro dell’attrice Sharon Tate (allora compagna, incinta, del regista Roman Polanski), il regista lascia ampio spazio ai suoi attori, che per l’occasione lo hanno seguito nella Capitale: Leonardo Di Caprio e Margot Robbie.
“Il racconto di Quentin è brillante. La relazione tra il mio personaggio e quello di Brad Pitt, la trasformazione e l’istinto di sopravvivenza di un’era di Hollywood e della cultura tutta. Ci siamo chiesti come ritrarre l’anima di un personaggio, e abbiamo usato frammenti chiave della sua vita per trasmettere il pathos, la sua angoscia e la sensazione di mortalità nei confronti dell’Industry”, spiega Leonardo Di Caprio, che nel film interpreta l’attore Rick Dalton, che ricorre spesso alla sua controfigura, interpretata da Brad Pitt. Come racconta l’attore Premio Oscar, a proposito del lavoro svolto per capire meglio le atmosfere di quegli anni, “Ho cercato su google tutti i film e la musica di fine anni ’60. Fu davvero un turning point epocale per la cultura e soprattutto per il cinema americani”.
Per Margot Robbie, chiamata a vestire i panni della povera Sharon Tate, girare questo film è stato come calarsi in un mondo fatato: “Per certi versi sono felice di lavorare in questo momento del cinema, nel presente. Ma anche quello fu un momento di grandi cambiamenti e passi in avanti per il medium, e ha prodotto tantissimi capolavori senza tempo. Inoltre, io non c’ero nel ‘69 a Hollywood ma Quentin Tarantino sì (ma aveva appena 6 anni, ndr). Vedere attraverso i suoi occhi quali canzoni passassero in radio, quali film al cinema, come fosse Los Angeles, ha reso il film magico e personale”.
Insomma una pellicola non votata al ricordi di una Los Angeles nostalgica ma, malgrado l’episodio violento che la caratterizzerà per sempre, molto più vicina al disincanto di un’industria fino ad allora poca attenta ‘agli uomini’ rispetto agli interpreti.
Dopo il passaggio di Cannes, questo ‘C’era una volta a… Hollywood’, arriverà nei cinema italiani il 19 settembre.
E semmai ve ne fosse il bisogno, a garantire sulla qualità anche di questa nona pellicola di Tarantino, le testimonianze di due affermati e stimati producer, come David Heyman (‘Harry Potter’ e ‘Animali Fantastici’), che conferma l’unicità del regista. “Ha il controllo di ogni aspetto della produzione, ha un’attenzione per i dettagli da romanzo e l’estro con cui lo fa crea un’atmosfera incredibile. Molti registi creano attraverso il dolore, lui crea attraverso il piacere”; e Shannon McIntosh (‘The Hateful Eight’, e ‘Django Unchained’) la quale confida: “Quando leggi un copione scritto da Quentin, ti chiedi: E ora, questo, come lo faremo? Ogni volta, è un viaggio fantastico!”.
Max