(Adnkronos) – Oggi è il taglio al cuneo fiscale del governo Meloni. Il più importante della storia? Ieri sono stati quasi tutti gli interventi fiscali. Quanto hanno funzionato? Domani saranno nuovi impegni non mantenuti. Ma allora è impossibile tagliare veramente le tasse? Lo sarà fino a quando non si farà la scelta politica, impopolare, di creare un margine di bilancio che solo il recupero consistente di risorse dalla lotta all’evasione può garantire. Per ora, nessuno è riuscito a uscire dal cortocircuito tra fisco e promesse, puntualmente disattese.
La ragione principale, al di là delle buone intenzioni e delle inclinazioni di una maggioranza o di un’altra, è che per tagliare veramente le tasse servono tante risorse e che senza tante risorse qualsiasi intervento diventa sostanzialmente irrilevante o, quantomeno, simbolico. Puntualmente, quando si vanno a fare i conti, anche le misure più spregiudicate valgono una manciata di euro e per una fascia ristretta di popolazione.
Questo non vuol dire che si debba restare fermi. Vuol dire che una valutazione dei costi e dei benefici dovrebbe indirizzare le scelte verso le soluzioni più efficaci, e il taglio al cuneo fiscale è una di queste, e le priorità che si ritengono tali, e intervenire sui redditi più bassi è indubbiamente un criterio di equità sociale. Senza però celebrare rivoluzioni che non ci sono e che, nelle condizioni date, non ci possono essere. E’ anche un problema di comunicazione. Enfatizzare gli annunci, a fronte di risultati che saranno numericamente limitati, espone al rischio di perdere credibilità.
Quando si parla di riforma fiscale, e lo si fa da sempre, si parla di un contenitore che di fatto nessuno riesce mai a riempire di contenuto reale. Perché? Quello fiscale, tra gli strumenti della politica economica, è quello più esposto al consenso. Il ‘meno tasse’, per qualcuno o per tutti nelle versioni più ardite, porta voti e domina tutte le campagne elettorali. Una volta varcata la soglia di Palazzo Chigi e aperta una dialettica con il ministero dell’Economia, sono i vincoli di bilancio prima ancora di qualsiasi altro fattore a stringere il perimetro di azione e ridimensionare i sogni di gloria. Al contrario, la lotta all’evasione, quella vera, va a colpire interessi e rendite di posizione, riduce il consenso e allontana gli elettori.
Sicuramente, però, chi promette insieme il taglio delle tasse e una maggiore tolleranza verso chi le tasse non le paga si allontana ancora di più dalla possibilità reale di affrontare il problema, a meno che non si consideri l’opzione di sfasciare definitivamente i conti pubblici e quello che resta del welfare. Perché meno tasse, a maggior ragione se per tutti, e senza meno evasione, vuol dire anche meno risorse per la sanità, la scuola, e i servizi pubblici. La definizione più azzardata, autolesionista e impopolare, ma anche la più attinente alla realtà, resta quella di Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia del secondo governo Prodi. “Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire a servizi indispensabili come la salute e la scuola. Poi ci può essere un’insoddisfazione sulla qualità dei servizi ma non una contrarietà di principio per le tasse”.
Se c’è, al contrario, un fiero e coerente avversario delle tasse è, da sempre, Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia ha promesso per tutta la sua carriera politica di ridurre la pressione fiscale e oggi, quando il ministro degli Esteri Antonio Tajani racconta che è pronto a tornare all’attività, essendo migliorate le sue condizioni di salute, è proprio alle tasse che fa riferimento. “E’ pienamente impegnato con la testa, le idee, le proposte e ci incalza e ci riempie di idee e suggerimenti. Dal San Raffaele ci dà le giuste indicazioni per lavorare nella direzione di tagliare le tasse ai cittadini”. (Di Fabio Insenga)