La gestione dei flussi migratori verso l’Ue non sarà nell’agenda del Consiglio Europeo straordinario di lunedì e martedì prossimi, ma a Bruxelles ci si attende che il presidente del Consiglio Mario Draghi e il premier spagnolo Pedro Sanchez sollevino comunque la questione al tavolo dei 27. A quanto si apprende, i leader, anche se l’agenda non è stata ancora fissata da Charles Michel e potrebbe cambiare, dovrebbero riunirsi lunedì sera a cena, fisicamente nella sede del Consiglio nella capitale belga (tra l’altro il summit segnerà l’esordio di Mario Draghi nel Consiglio Europeo propriamente detto, dopo l’informale di Oporto) per discutere temi di politica internazionale, in particolare di Russia, Medio Oriente e, se ci sarà tempo, delle relazioni con il Regno Unito.
Martedì mattina, invece, i capi di Stato e di governo dovrebbero discutere di clima, in vista della presentazione del pacchetto ‘Fit for 55’ della Commissione Europea, le proposte legislative che adatteranno la legislazione Ue all’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, e della situazione epidemiologica, anche alla luce dell’accordo trovato ieri tra Parlamento Europeo e Consiglio sul Green Pass, o Certificato Covid Europeo Digitale.
Il tema delle migrazioni non dovrebbe essere quindi formalmente in agenda, ma Italia e Spagna sono alle prese con la ripresa dei flussi irregolari dal Nordafrica e riporteranno al tavolo la questione. Madrid vede flussi importanti sia dalle coste dell’Africa Occidentale verso le Canarie che nell’enclave di Ceuta, sulla costa marocchina, presa d’assalto nei giorni scorsi da migliaia di migranti, incoraggiati a passare la frontiera dalle autorità di Rabat, come rappresaglia per il ricovero a Logrono (La Rioja) di un leader del Fronte Polisario, malato di Covid.
L’Italia ha visto una ripresa delle partenze dalle coste nordafricane, in particolare dalla Libia, verso le coste siciliane e le isole minori, che sono territorio Ue. La Commissione ha presentato nel settembre scorso una proposta per un nuovo patto sulle migrazioni e l’asilo che non prevede un netto superamento del principio cardine dell’accordo di Dublino, cioè l’attribuzione ai Paesi di primo arrivo degli oneri connessi ai flussi migratori. Il patto è in discussione, ma non ha fatto molta strada, tanto che la commissaria Ylva Johansson ha pubblicamente lamentato la lentezza con cui procede il dossier. Secondo fonti qualificate, è molto difficile che si arrivi ad un accordo su una nuova politica Ue di migrazione e di asilo prima dell’estate.
Una cooperazione rafforzata, cioè un patto per andare avanti solo tra i Paesi che sono d’accordo lasciando fuori i dissenzienti, potrebbe essere un modo per procedere e arrivare ad una soluzione dopo anni e anni di stallo, ma non è una strada semplice. Anzitutto, in base ai trattati occorre un accordo tra i 27 sul fatto che si proceda con una cooperazione rafforzata. E poi, punto ancora più importante, occorrerà lavorare duramente perché si trovi un’intesa tra i Paesi di primo arrivo, quelli del Sud, e i Paesi di destinazione dei flussi migratori, che sono quelli del Nord Europa.
Se i Paesi del gruppo di Visegrad, in particolare Ungheria e Polonia, bloccano “tutto”, come ha detto ieri a Bruxelles il segretario del Pd Enrico Letta, il cuore dell’accordo, si osserva nella capitale belga, va trovato tra i Paesi del Sud e quelli del Nord, prima di coinvolgere altri Stati che non sono né sulla frontiera né sono la meta ultima dei migranti irregolari. Un accordo tra questi due fronti sulle migrazioni ancora non c’è: per i Paesi del Nord uno dei punti cruciali è quello delle procedure di controllo ai confini esterni, che, dal loro punto di vista, devono andare di pari passo con i ricollocamenti.