(Adnkronos) –
Le politiche di riduzione del danno da tabacco devono fare un salto di qualità nei Paesi dove è ancora alto il numero di fumatori tradizionali e puntare in maniera seria e convincente sui prodotti a potenziale rischio ridotto, dalle sigarette elettroniche (e-cig) ai dispositivi a tabacco riscaldato. E’ il punto che ha unito esperti, medici e scienziati che si sono riuniti ad Atene per il quinto summit scientifico ‘Tobacco harm reduction: novel products, research & policy’ promosso da Scohre, un’associazione internazionale indipendente formata da esperti e scienziati che promuovono il controllo del tabacco e la riduzione del danno da fumo.
“Serve fare di più per aumentare la consapevolezza sulle strategie di riduzione del danno, serve creare maggiori opportunità per la formazione degli esperti di politica sanitaria, delle autorità di regolamentazione e del pubblico. E poi occorre sostenere la ricerca in questo settore perché serve eliminare ogni dubbio sull’efficacia dei dispositivi alternativi portando dati basati sull’evidenza scientifica”. Lo ha sottolineato Ignatios Ikonomidis, professore di cardiologia all’Università di Atene e presidente di Scohre, nel suo discorso di apertura dell’evento. “La battaglia finale per la riduzione del danno – ha chiosato Ikonomidis – non è tanto su quanto siano ‘sicuri’ i prodotti a rischio ridotto, ma se la nicotina può essere eradicata o accettata”.
Ikonomidis ha ribadito la visione di Scohre: “Smettere di fumare rimane il miglior e più efficace intervento in medicina” rispetto ai danni che può provocare “e dobbiamo continuare il duro lavoro di sensibilizzazione sugli effetti negativi del fumo su ogni fumatore e cittadino. Tuttavia, quando accade che si fallisce ripetutamente nell’abbandonare le sigarette, dovrebbe esserci l’opzione di poter scegliere dispositivi meno dannosi, che comportano dei benefici per tanti fumatori”.
“Secondo una ricerca che ha monitorato dopo un anno chi ha provato a smettere – ha ricordato il presidente di Scohre – il 45% si è astenuto dal fumare con un miglioramento della fisiopatologia endoteliale, il 55% che invece ha avuto ricadute, ovvero non hai mai smesso, ha avuto un aumento della rigidità arteriosa”. Per questo “sosteniamo la riduzione del danno da fumo: se eliminiamo il fumo – ha precisato – potremmo anche essere in grado di evitare fino al 90% di tutti i tumori ai polmoni. Dalla Svezia arriva l’esempio dello snus, il tabacco umido in polvere per uso orale. La popolazione maschile in quel Paese consuma lo stesso volume di tabacco dei coetanei europei, ma la metà usano lo snus e le percentuali di decessi per tutte le tipologie di cancro sono nettamente inferiori. Ma abbiamo anche l’esempio del Regno Unito, dove il passaggio dalle sigarette tradizionali a dispositivi e-cig ha avuto un effetto determinante sulla riduzione dei fumatori”.
Ormai tanti studi evidenziano come, “dopo il passaggio alle e-cig, c’è un miglioramento delle funzioni vascolari e dello stress ossidativo”. Il cardiologo greco ha rimarcato che “il passaggio completo alle e-cig ha sostanziali benefici per la salute rispetto a continuare con le sigarette tradizionali” e che “oggi, sulla base delle conoscenze scientifiche, le e-cig sono il 95% meno dannose del fumo, anche se questo non significa che sono del tutto sicure. Gli esperti, gli operatori sanitari che aiutano i fumatori nel percorso per uscirne, dovrebbero supportarli anche nella scelta di dispositivi alternativi a rischio ridotto”. Nel 2019 un trial clinico nel Regno Unito ha stabilito che, “quando si univano l’assistenza di un esperto ‘faccia a faccia’ e l’uso delle e-cig, le persone che volevano smettere avevano il doppio delle probabilità di successo rispetto a chi ha utilizzato altri dispositivi sostitutivi a base di nicotina, come le gomme o i cerotti”.
L’intervento di Giuseppe Biondi Zoccai, associato di cardiologia alla Sapienza Università di Roma, ha puntato l’attenzione sulla necessità di avere più dati possibili per fare la scelta migliore nelle strategie di riduzione del danno, “perché anche i dispositivi a rischio ridotto possono portare alla dipendenza”, ha evidenziato. “Sono un cardiologo e non prescrivo l’aspirina in alternativa alla statina, ma insieme. Sarebbe più ragionevole considerare le alternative alla sigaretta come qualcosa in aggiunta ai trattamenti sostitutivi della nicotina (Nrt) e non in sostituzione – ha osservato Biondi Zoccai – ‘L’elefante nella stanza’ è creare una nuova generazione di dipendenti dai dispositivi alternativi. Oggi le aziende puntano su questi nuovi prodotti al contrario delle sigarette. La mia raccomandazione è agire ora sulla base delle evidenze scientifiche. Ci sono molte ricerche che monitorano i rischi cardiovascolari e studi randomizzati sui dispositivi a rischio ridotto”.
Biondi Zoccai ha analizzato la situazione delle strategie di riduzione del danno. “Abbiamo una situazione che vede questi prodotti associati a quelli del tabacco – ha spiegato – Ora una sfida che il sistema italiano dovrebbe porsi è agevolare il libero accesso dei pazienti che vogliono smettere a questi dispositivi alternativi alla sigaretta”. Invece “paradossalmente non ci importa dei pazienti quando hanno lasciato l’ospedale. L’impegno nello smettere con il fumo richiede un follow-up intensivo. I dispositivi a rischio modificato sono utili in quanto possono essere forniti a qualsiasi paziente, non richiedono una prescrizione”.
Marewa Glover, esperta di sanità pubblica e direttrice del Centre of Research Excellence: Indigenous Sovereignty & Smoking della Nuova Zelanda, ha fatto il punto sugli ultimi provvedimenti su cui sta lavorando il governo neozelandese nella lotta al fumo. La scelta ‘rivoluzionaria’ della Nuova Zelanda è quella di impedire a tutti i ragazzi nati dopo il primo gennaio 2009 di acquistare qualsiasi prodotto a base di tabacco. Le proposte dell’attuale Esecutivo, che si basano sulla ‘denicotizzazione’ del Paese, prevedono anche un giro di vite sulla vendita legale dei prodotti per il fumo, con una riduzione degli esercizi commerciali e un taglio al quantitativo di nicotina presente nelle sigarette. Una serie di misure che porterebbero la Nuova Zelanda a essere una delle nazioni con leggi più severe sul fumo. Infatti “si vorrebbe intervenire anche sull’età legale per fumare, che ora è 18 anni, ma si vorrebbe annualmente alzare di 1 anno dal 2027”, precisa l’esperta.
Secondo Glover, molto critica sulla svolta restrittiva del suo Paese, “un approccio basato sui divieti non è coerente con le politiche di riduzione del danno: è solo punitivo e probabilmente aumenterà l’attività del mercato nero e le azioni della criminalità”. Il principio che per l’esperta dovrebbe essere invece seguito è quello che “la salute pubblica ha come missione di fare tutto il possibile per aiutare le persone a migliorare la loro situazione e consentire di prendere le decisioni migliori sulla propria salute. Non è punitiva, ma compassionevole”.
Glover ha illustrato quanto “l’approccio al fumo in Nuova Zelanda varia notevolmente in base alle fasce di reddito. Nel 2021 il fumo quotidiano tra i due quinti più ricchi della popolazione era già al di sotto del 5%, obiettivo a cui si puntava”. Infine, l’esperta ribadisce che la “denicotizzazione non ha evidenze scientifiche, nessuno può fare previsioni su quello che accadrà e a nessuno sembra importare. Il rischio – ha concluso – è che si generi una disinformazione sui rischi legati alla nicotina, la perdita di libertà della comunità scientifica e l’arrivo di un paternalismo liberale”.