Lunedì 8 ottobre 2001. Milano si sveglia avvolta dalla nebbia autunnale e Linate diventa il teatro della tragedia aerea più grave mai accaduta in Italia. La scena che si presenta ai primi soccorsi arrivati sul luogo del disastro, alle 8.20, è apocalittica dopo lo scontro tra un piccolo Cessna da turismo e un aereo di linea scandinavo, un Md87 della compagnia Sas, che dopo l’impatto finisce la sua corsa contro un hangar dell’aeroporto e prende fuoco.
Nell’incidente perdono la vita 118 persone: i quattro a bordo del Cessna, 110 tra passeggeri e componenti dell’equipaggio dell’aereo scandinavo e quattro dipendenti della Sea, addetti allo smistamento bagagli, che stavano lavorando all’interno dell’hangar. L’unico sopravvissuto, il dipendente della Sea Pasquale Padovano, viene ricoverato nel reparto grandi ustionati dell’ospedale Niguarda di Milano, resterà in coma quattro mesi. Oggi dopo 108 interventi chirurgici porta ancora addosso i segni di quel disastro.
Accantonata l’ipotesi di un attentato terroristico, mentre i soccorritori sperano di trovare qualche superstite, i primi risconti evidenziano che si è trattato di un errore umano. Da quanto raccontano alcuni piloti, e confermano più tardi le autorità inquirenti, il Cessna dal parcheggio dei voli privati imbocca, per errore o per risparmiare tempo, un raccordo sbagliato posizionandosi di traverso rispetto all’aereo della Sas che stava decollando regolarmente. L’Md87 alza le ruote da terra ma non riesce a ‘staccare’ quel tanto che basta per evitare il Cessna e con il carrello urta l’aereo per poi andare a schiantarsi nell’hangar che si trova a fondo pista.
La ricostruzione non lascia dubbi. Alle 8.10 il pilota tedesco del piccolo aereo da turismo riceve dalla torre di controllo le indicazione sul percorso da seguire per il rullaggio: “Cleared to taxi North for Alfa 5″, sono le indicazioni che invitano al rullaggio a Nord verso la piazzola A5. Il pilota ripete ”Taxi North to Alfa 5” e dando potenza ai motori si infila nella nebbia pronto al decollo. Ma invece di andare verso nord il pilota tedesco punta a sud, lungo il raccordo R6, proprio a metà della pista di decollo, senza che nessuno possa accorgersene.
Il bimotore prosegue lungo il raccordo R6 con a bordo, oltre ai due piloti tedeschi, Stefano Romanello rappresentante in Europa della Cessna e Luigi Fossati, presidente della Star che voleva comprare il Cessna Cition II sul quale ha invece perso la vita. L’aeroporto sta operando in ‘Lvp’, la procedura di bassa visibilità e il bollettino meteo consegnato al comandante indica in 100 metri la visibilità verticale e in 250 quella orizzontale. Alla torre di controllo il pilota tedesco conferma di aver raggiunto il punto ”Alfa 5” sul raccordo R5, mentre in realtà si trova sul raccordo R6: un errore fatale. Si scopre che l’aeroporto di Linate è privo di radar di terra, strumento che avrebbe potuto consentire di evitare l’incidente, e scoppiano le prime polemiche mentre vengono avviate tre inchieste: una dell’Agenzia nazionale per la sicurezza dei voli, una della magistratura e una del ministero dei Trasporti.
Poche ore dopo il disastro aereo inizia il compito per familiari e amici di identificare le 56 vittime italiane del disastro, mentre per quelle scandinave il compito sarà più lungo. Nella vicina base militare, a ridosso delle piste di Linate, vengono composti i primi corpi mentre ai parenti viene chiesto di portare qualsiasi oggetto che possa essere utile per l’identificazione: foto, radiografie ma anche spazzolini da denti, pettini da cui estrarre il Dna. A pochi metri, il Circolo ufficiali della base militare viene trasformato in punto di raccolta dei familiari.
Tra le vittime ci sono Simone e Viviana: si sono sposati sabato 6 ottobre, avevano deciso di non partire per l’Egitto, meta iniziale del loro viaggio di nozze, perché troppo pericoloso, e invece si trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Renato Cairo, presidente dell’Eurojet, società di noleggio di aerei, che in realtà doveva partire la sera prima. Sul luogo del disastro arriva il ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi che escludendo ogni implicazione terroristica – l’11 settembre è una data troppo vicina per non pensare a un possibile attentato – attribuisce all’errore umano la causa del disastro.
“La torre di controllo ha chiamato tre, quattro volte il volo Scandinavian Sk686 mentre io ero dietro di loro, pronto a decollare ma dalla radio non si avevano risposte” racconta il pilota alla cloche di un Gulfstream G4, l’ultimo ad aver visto intatto l’Md87 della Sas. “Non ho visto lo scontro a causa della nebbia – aggiunge – ma ci siamo subito accorti che c’era qualcosa di strano. Abbiamo visto il volo Scandinavian allontanarsi davanti a noi. Non lo vedevamo però alzarsi, l’altimetro che indicava la sua posizione rimaneva a zero. Dopo pochi minuti la torre ci ha ordinato di tornare nella piazzola di attesa”.
Dall’impatto col Cessna alla morte per i passeggeri dell’Md87 sono trascorsi 15 secondi. Questo il tempo calcolato dai periti che collaborano con la magistratura sull’incidente di Linate. Dal primo studio dei rottami e dei solchi tracciati sull’asfalto, nei giorni seguenti la tragedia, si chiarisce ulteriormente la sequenza del disastro: l’Md87 sta percorrendo la pista principale, 36R verso Nord e sta sfrecciando a quasi 270 chilometri orari con il pieno di carburante. La sagoma del Cessna appare all’improvviso e sarebbe bastato un secondo di ritardo nell’autorizzazione al decollo per evitare l’incidente.
Il Citation II, uscito dalla fabbrica da due settimane, ha già attraversato quasi tutta la pista quando l’Md87 colpisce con il braccio del carrello destro il motore destro del Cessna facendogli compiere un giro su se stesso di 180 gradi. Il muso del piccolo aereo viene scaraventato verso Sud, il motore sinistro verso Nord e poco più avanti quello destro, diviso in due dall’impatto con l’altro carrello. Il volo Sk686 della Sas sembra reggere, a un primo esame, all’esplosione avvenuta sotto la sua poppa ma subisce gravi danni. Perde il motore destro e le ruote del carrello sinistro. Continua però a salire, percorrendo 92 metri al secondo. Dai dati della scatola nera sembra che i due piloti abbiano tentato una manovra di emergenza. L’Md87 striscia poi con il muso sugli ultimi metri della pista e si schianta contro l’hangar a poche centinaia di metri da un parcheggio di taxi.
Linate è stato il peggior disastro aereo della storia italiana. I numeri sono impressionanti: 104 passeggeri del volo Sas, 6 componenti dell’equipaggio, 2 passeggeri del velivolo Cessna, 4 lavoratori dell’aeroporto. Alla base dell’incidente non c’è solo l’errore del pilota del Cessna, ma una somma di disfunzioni aeroportuali. Il processo iniziato nel 2002 (il 20 novembre 2002 si tiene la prima udienza preliminare) si chiude in circa sei anni: il 20 febbraio 2008 la Cassazione conferma la sentenza d’appello rendendo definitive le due assoluzioni agli ex dirigenti Enac e confermando 5 condanne.
La quarta sezione penale presieduta da Mariano Battisti conferma l’assoluzione nei confronti di Vincenzo Federico, ex direttore dell’area aeroporti di Milano e di Francesco Fusco, direttore dell’aeroporto di Linate. Diventano invece definitive le condanne per Sandro Gualano (6 anni e 6 mesi), ex amministratore delegato di Enav e per l’uomo radar Paolo Zacchetti (3 anni). Chi rischia di più con la decisione di piazza Cavour è Fabio Marzocca, ex direttore generale di Enav che ha patteggiato in appello 4 anni e 4 mesi e chiederà l’affidamento ai servizi. Confermati 3 anni di reclusione per Antonio Cavanna e Lorenzo Grecchi, rispettivamente ex responsabile dello sviluppo e manutenzione della Sea e responsabile della gestione risorse aeroportuali. La Suprema Corte mette così la parola fine alla strage avvenuta l’8 ottobre del 2001, ma non al dolore per quei 118 morti.