(Adnkronos) – ”Il sistema degli enti territoriali italiani non può permettersi ulteriori crisi finanziarie che sprechino risorse pubbliche a causa dell’inadeguatezza di un controllo sulle proprie partecipate e, in alcuni casi, della pari inadeguatezza del management delle stesse”. E’ quanto sostiene il Centro studi enti locali nel dossier, realizzato per l’Adnkronos, ‘Crisi società partecipate: tra le principali cause, l’inadeguatezza del controllo analogo esercitato dagli enti pubblici’.
”La conclamata inadeguatezza dei controlli, nella maggior parte dei casi -secondo il Csel- è resa evidente da situazioni di forte squilibrio di cassa, di contenziosi pendenti, dall’insorgenza di nuove e potenziali posizioni debitorie/creditorie tali da pregiudicare ulteriormente il delicato equilibrio di bilancio, dalla mancata conciliazione dei rapporti infragruppo di debito/credito con l’ente socio, nonché dalla mancanza di appositi presidi di compliance pubblica”.
”Tenendo conto degli eventi sanitari e geopolitici straordinari verificatesi nell’ultimo triennio che ha visto il susseguirsi dell’emergenza pandemica da covid-19, la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica, è indispensabile sollecitare le amministrazioni inadempienti o meno ligie, ad esercitare realmente il controllo sui propri organismi partecipati” continua il Centro studi enti locali nel dossier.
”Gli extra-costi, imprevisti e imprevedibili in fase di budget, di cui si sono appesantiti i bilanci dell’ultimo triennio, rischiano infatti di far vedere i propri effetti in maniera drastica nei prossimi anni”, avverte il Csel. ”Eventuali squilibri non opportunamente controbilanciati da azioni correttive, metteranno gli enti in condizione di fare i conti con ingenti ricapitalizzazioni che devono, però, fare i conti con il divieto di soccorso finanziario che impedisce alle amministrazioni pubbliche di erogare somme e di rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, salvo il caso della riduzione del capitale sociale oltre il limite legale a condizione che ne venga dimostrata la capacità della società di tornare in equilibrio, nonché garantire l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione del servizio per il tramite del modello prescelto”.
”È imperativo rafforzare le modalità di esercizio del ‘controllo analogo’ per renderlo più pervasivo. Questo anche alla luce del particolare impatto che le scelte delle società partecipate riflettono sull’assetto economico-patrimoniale dell’amministrazione e viceversa” sostiene il Centro studi enti locali.
”Un mancato o approssimativo controllo sulle società è spesso sintomo di una mala gestio delle amministrazioni che può portare squilibri economico-finanziari degli organismi partecipati che, a loro volta, se non prontamente analizzati e corretti, possono incidere negativamente sul bilancio dell’ente generando a cascata squilibri finanziari e, nei casi peggiori, provocandone il ricorso a procedure di riequilibrio pluriennale o addirittura il dissesto dell’ente stesso”, scrive il Csel.
Dalle analisi condotte su queste realtà ”è emerso che, il più delle volte, il motivo scatenante la crisi economico-finanziaria della società è stato proprio un inadeguato esercizio del controllo analogo o, in taluni casi, l’assenza completa di una qualsivoglia forma di controllo da parte dei rispettivi soci pubblici ad esso preposti”.
Spesso infatti l’ente-socio, spiega il Centro studi, ”non ha posto in essere, con la necessaria tempestività, le opportune verifiche sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo della Società, sulla corretta quantificazione dei corrispettivi inseriti nei contratti di servizio in correlazione alla qualità richiesta, sulla necessità di porre in essere politiche di investimento per far fronte all’obsolescenza dei fattori produttivi che permettono di produrre ed erogare il servizio, sul fabbisogno formativo del personale dipendente e, in ultimo (ma non per importanza), sulla capacità del management di condurre l’azienda”.
”Spesso socio e società si comportano come soggetti giuridici con interessi contrapposti, che vivono di vita propria e che possono fare l’uno a meno dell’altra”, afferma il Csel. ”Forse è proprio questo il vero problema del mal funzionamento di un sistema che, almeno sulla carta, sta funzionando (ma in molti casi, a che prezzo per la collettività?)”. Secondo Centro studi enti locali ”c’è l’esigenza di far parlare la stessa lingua a due soggetti che fanno parte entrambi di un insieme unico: il gruppo pubblico locale”.
”E’ fondamentale che gli enti pubblici affrontino e gestiscano con tempestività gli squilibri strutturali di tipo economico-finanziario che affliggono, prevalentemente, le società che svolgono servizi strumentali agli enti soci per effetto di un affidamento diretto incardinato nell’ambito del modello gestionale del in house providing”, conclude il Csel. ”Un modello, quest’ultimo, -ricorda- che è finito più volte nel mirino dell’Anac che ha evidenziato, a più riprese, che la scelta di assegnare appalti e concessioni senza gara alle in house (imprese pubbliche che agiscono come un’estensione dell’amministrazione) dovrebbe essere un’eccezione e non la regola”.