(Adnkronos) –
Aumenta di 5 miliardi in due anni lo stock delle passività a carico di Regioni ed enti locali, riconducibili ai mutui contratti per sostenere gli investimenti pubblici. Il 1° gennaio 2023 questa cifra era pari a 55,8 miliardi di euro, contro i 54,8 dell’anno precedente e i 50,8 del gennaio 2021. A rivelarlo sono i dati diffusi il 29 maggio scorso dalla Ragioneria generale dello Stato e analizzati da Centro Studi Enti Locali (Csel) in un dossier realizzato per Adnkronos.
Rispetto all’anno precedente, è crollato l’ammontare dei nuovi mutui concessi a Province autonome e Regioni. Questi enti, che nel 2021 avevano beneficiato di nuovi crediti per un totale di 709 milioni, hanno praticamente azzerato la richiesta di questo tipo di finanziamento nell’arco del 2022. L’unica Regione ad avervi fatto ricorso, per un ammontare pari a 200mila euro, è stata la Toscana. L’esposizione debitoria delle Regioni e delle Province autonome, al 1° gennaio 2023, è risultata essere pari a 25.047 milioni di euro.
Per quanto riguarda gli enti locali, nell’arco del 2022, sono stati concessi mutui per un valore complessivo di 1.294 milioni, 144 in meno rispetto all’anno precedente in cui i flussi di credito destinati a Comuni, Province e Città metropolitane avevano fatto registrare un volume pari a 1.438 milioni, 33% in più rispetto ai 1.078 milioni del 2020 e quasi il doppio rispetto al 2018 (790 milioni di euro).
A fare ricorso al debito sono stati soprattutto i Comuni capoluogo. A questi sono stati concessi mutui per un totale di 515 milioni nel 2022 (-27% rispetto all’anno precedente). Ai Comuni con meno di 20mila abitanti sono andati finanziamenti per 461 milioni, 24 in più del 2021. I Comuni non capoluogo con più di 20mila abitanti hanno attinto a mutui per un totale di 278 milioni (+5,4% sul 2021), mentre le Province hanno quasi triplicato i mutui passando dai 15 milioni del 2020 e 2021 ai 40 del 2022. Azzerati, infine, i mutui contratti per investimento dalle Comunità montane.
Come sono state impiegate queste risorse? L’indebitamento degli enti locali – spiega Csel – è regolato in maniera molto precisa e serrata dal legislatore italiano. Uno dei vincoli più stringenti prevede che i Comuni e gli altri enti territoriali italiani possano indebitarsi solo per finanziare le spese di investimento e non per coprire la spesa corrente. Sì, quindi, all’avvio di un mutuo per pagare, ad esempio, la costruzione di un campo sportivo (pur nel rispetto di determinati vincoli), ma no al pagamento degli stipendi dei dipendenti comunali che rientrano appunto nel capitolo ‘spesa corrente’.
“Questo tipo di indebitamento, quindi, non è un indicatore di per sé – osserva Csel – negativo. Al contrario, i mutui passivi costituiscono la principale fonte di finanziamento degli investimenti negli enti locali e possono quindi generare una ricaduta positiva sul territorio e sulla collettività sia in termini di indotto che di qualità dei servizi offerti alla cittadinanza. Questi possono essere contratti con: Cassa Depositi e Prestiti Spa; l’Istituto di credito sportivo per il finanziamento di infrastrutture sportivo, la Banca europea degli investimenti o gli istituti di credito autorizzati all’esercizio delle attività bancarie”.
“Il Testo unico degli enti locali – prosegue Csel – stabilisce che i Comuni possano contrarre nuovi mutui o accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l’importo annuale dei correlati interessi, sommati agli oneri già in essere (ad esempio, mutui precedentemente contratti o prestiti obbligazionari precedentemente emessi) non è superiore al 10% delle entrate relative ai primi tre titoli del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene deliberata l’assunzione del mutuo”.
Normalmente la fetta più consistente degli investimenti realizzati dai Comuni italiani attraverso i nuovi mutui viene riversata nella viabilità e nei trasporti. Il 2022 non ha fatto eccezione. Questa voce ha assorbito 362 milioni di euro, oltre un quarto del totale. A seguire, troviamo il capitolo impianti e attrezzature ricreative (242 milioni di euro), l’edilizia pubblica (214 milioni), l’edilizia sociale (207 milioni), la voce opere varie (120 milioni), le opere igienico-sanitarie (40 milioni di euro) e il capitolo energia (18 milioni). Chiudono il cerchio le opere idriche (16 milioni) e quelle marittime (4 milioni). I mutui contratti per scopi diversi dalle opere pubbliche hanno avuto un peso specifico di 70 milioni di euro nel 2022, quasi la metà rispetto all’anno precedente in cui ammontavano a 139 milioni.
A livello di distribuzione territoriale, i dati diffusi dal ministero dell’Economia e delle Finanze – riferisce Csel – indicano che la fetta più ampia dei mutui contratti dagli enti locali nel 2022 si è riversata nel Nord del Paese, che pesa per il 44% del totale (565 milioni su 1.294). Segue il Centro con 510 milioni (39%) e infine il Mezzogiorno con 219 milioni, pari all’8% del totale.
Non ci sono grossi scostamenti rispetto agli anni precedenti neanche sul fronte indebitamento medio pro-capite. Così come nel 2021, i valori più alti sono stati quelli della regione Lazio (48 euro a testa, in calo rispetto ai 61 dell’anno precedente), seguita dalle Marche (46,4 euro). Al terzo posto l’Emilia Romagna – in cui l’indebitamento medio è stato di 28,8 euro nel 2022 – è stata scalzata dalla Toscana (37,6 euro pro-capite) ed è ora preceduta anche dalla Liguria (34,8 euro a testa), dall’Umbria (34 euro) e dall’Abruzzo (29,9 euro). Seguono la Lombardia (21,7 euro pro-capite), il Molise (19,4), il Friuli Venezia Giulia (16,8 euro), il Veneto (16,4), il Piemonte (13,2), la Puglia (12,5), il Trentino Alto Adige (12,3), la Campania (11,9), la Calabria (11,7) e la Basilicata (11,1). Molto al di sotto della media, l’indebitamento medio dei cittadini sardi (7,1 euro a testa), siciliani (4,1) e valdostani (3,5 euro).
Se guardiamo al dato del debito residuo al 1° gennaio 2023, risultano essere i piemontesi i più ‘indebitati’. In Piemonte il debito residuo pro-capite è infatti pari a 894,1 euro contro una media nazionale di 520,8. La cifra è comunque in calo rispetto all’anno precedente in cui lo stesso valore era pari a 912,4 euro. Seguono, nell’ordine, la Calabria (842,1 euro contro i 863,4 del gennaio 2022), la Liguria (780,1), l’Abruzzo (751,5), le Marche (738,7), l’Umbria (687,1), il Lazio (666,2), la Campania (578,5), la Lombardia (526,2) e il Friuli-Venezia Giulia con 524,3 euro.
Si collocano al di sotto della media nazionale (pari a 520,8 euro di debito residuo degli enti locali pro-capite) le regioni: Toscana (491,5), Valle d’Aosta (429,6), Basilicata (403,8), Emilia Romagna (376,5), Molise (333), Veneto (324,2), Puglia (314,1), Sardegna (294,4), Sicilia (289,8) e Trentino Alto Adige (114,8).