Nella notte del 25 febbraio l’amministrazione Biden ha ordinato un’offensiva aerea contro milizie irachene filo iraniane al confine tra Siria e Iraq. È la prima azione militare di Joe Biden dal suo insediamento. Sull’attacco, condotto probabilmente da droni, non ci sono particolari dettagli, ma una fonte anonima ha riferito al Washington Post che ci sarebbero vittime. Parla di diciassette vittime anche l’Osservatorio per i diritti umani in Siria.
L’offensiva è stata poi confermata da John Kirby, portavoce del Pentagono: sono stati abbattuti edifici “usati come base anche dalle formazione Hezobollah e di Sayyd al Shuhada”. Secondo il governo americano, le milizie irachene colpite sono responsabili di tre lanci missilistici contro la base americana di Ebril, Iraq, lo scorso 15 febbraio. Una risposta “proporzionata”, spiega il Pentagono. “Siamo fiduciosi sull’obiettivo che abbiamo attaccato, siamo convinti che era usato dalla stessa milizia sciita che ha condotto gli attacchi”, ha detto Lloyd Austin, segretario della Difesa.
Sullo sfondo della vicenda c’è la ripresa dell’accordo sul nucleare, firmato nel 2015 e ritirato da Donald Trump nel 2018, tra Washington e Teheran (Iran). Il patto costringeva l’Iran a ridurre la capacità di arricchimento dell’uranio, necessario per le armi nucleari; a loro volta gli Stati Uniti si impegnavano a rimuovere le sanzioni nel Paese.
Mario Bonito