Sono arrivati in 3mila a Milano per partecipare alla la 16esima European Aids Conference promossa dall’Eacs (European Aids Clinical Society), per confrontarsi sulle nuove cure ed i nuovi rischi legati al contagio da Hiv in Europa in quanto, sottolineano, “L’infezione da Hiv non si è fermata e non è in declino”. C’è da sottolineare che (con 6,3 persone contagiate su 100 mila, rispetto alle 6,6 del 2006), negli ultimi 10 anni, nel Vecchio Continente la diffusione dell’Hiv è rimasta invariata. Tuttavia, e questa è la nota dolente, l’European Center for Disease Prevention and Control, stima però che sono 122mila (il 15%), quanti convivono con l’Hiv senza saperlo. Come ben spiega spiega Fiona Mulcahy, presidente di Eacs, “I risultati del monitoraggio biennale della ’Dublin Declaration on Partnership to Fight Hiv/Aids in Europe and Central Asia’ dimostrano che in genere, rispetto ad altre regioni, nella Ue-See (Spazio economico europeo) il trattamento dell’Hiv inizia prima e un maggior numero di persone riceve una terapia salvavita . Se rimane vero che una persona con Hiv su 6 non è in trattamento, è altrettanto vero che 9 su 10 di coloro che accedono alle cure raggiungono di fatto la soppressione virologica. Significa che il virus non è neppure identificabile nel loro sangue e che quindi non possono contagiare nessuno. Questo da un lato dimostra quanto siano efficaci i nuovi trattamenti, ma dall’altro quanto sia importante nell’ambito di questa Conferenza lanciare un appello a favore della diagnosi precoce per favorire l’accesso rapido ai test per l’Hiv”. Dal canto suo l’epidemiologa clinica Sheena Mc Cormak, tiene a ribadire che “Focalizzare campagne di prevenzione sulle popolazioni che sostengono il contagio è cruciale. Il tema della criminalizzazione – aggiunge l’esperta – gioca un ruolo importante nel minare gli sforzi di prevenzione e diffusione del test, così come la presenza di leggi e politiche non favorevoli limita l’accesso e la diffusione dei servizi di prevenzione tra le popolazioni target, quali carcerati, sex worker, migranti legali o meno, persone che usano droghe iniettabili, omosessuali. Il Brief dell’Ecdc del maggio 2017 – spiega ancora la Mc Cormak – evidenzia la necessità di ridurre le barriere di accesso per tutte queste categorie, se l’obiettivo è il raggiungimento di un maggiore livello di salute pubblica tramite la riduzione della trasmissione dell’Hiv”. Non ultimo poi, pesa anche il ritardo con cui si arriva alla diagnosi: mediamente ci vogliono circa 4 anni (3,8 per la precisione), affinché venga diagnosticato con sicurezza un nuovo contagio da Hiv. Questo perché sottolineano gli esperti, in molti paesi ancora vi sono problemi di accesso ai test per l’Hiv, e dunque il primo appello lanciato dalla Conferenza è quello di abbattere le barriere che ostacolano l’accesso rapido ai test.
M.