S&P conferma a ‘BBB/A2’ il rating dell’Italia e lascia invariato l’outlook a stabile. Lo rende noto l’agenzia di rating internazionale. Nello scenario più negativo, S&P spiega che potrebbe “abbassare i rating se le nostre proiezioni di una ripresa economica seguita da un risanamento dei conti pubblici non si concretizzassero, o se crescenti passività potenziali dovute alle ampie garanzie fornite dal governo centrale si cristallizzassero nel suo bilancio”. Inoltre, rileva l’agenzia di rating, “abbasseremmo il rating” dell’Italia se gli Stati membri dell’Ue “bloccassero i trasferimenti programmati nell’ambito del programma Next Generation Eu”.
Nello scenario positivo, S&P sottolinea che potrebbe aumentare i rating dell’Italia “se vedessimo l’economia ottenere risultati migliori rispetto alla nostra previsione attuale, ad esempio, attraverso l’attuazione di riforme strutturali e fiscali favorevoli alla crescita e l’efficace dispiegamento delle risorse disponibili per l’Italia dal Recovery and Resilience Facility”. In un simile scenario, rileva S&P, “il rapporto debito/pil dell’Italia probabilmente tornerebbe su un percorso discendente, ma non prima del 2024”.
PIL
S&P prevede che l’economia italiana registrerà una crescita del pil del 4,7% nel 2021 e del 4,2% nel 2022, riflettendo le misure di bilancio, i fondi stanziati dall’Ue, la ripresa dei consumi privati con l’accelerazione delle vaccinazioni. L’accelerazione del piano vaccinale italiano, insieme agli stimoli di bilancio, “dovrebbe favorire una solida ripresa economica durante la seconda metà di quest’anno. Stimiamo che il pil aumenterà del 4,7% quest’anno e del 4,2% nel 2022” nonostante le restrizioni decise all’inizio di aprile per far fronte all’emergenza Covid.
I vincoli alla crescita italiana, rileva S&P, “includono un contesto imprenditoriale debole, comportamenti anticoncorrenziali nei servizi, un sistema giudiziario inefficiente, un’amministrazione pubblica farraginosa (in particolare a livello degli enti loclai) e disallineamenti di competenze sul mercato del lavoro insieme ai costi finanziari e legali relativamente elevati per quanto riguarda i licenziamenti”. La produttività del lavoro, rileva l’agenzia di rating, “non è omogenea in tutta Italia; il Centro-Nord industrializzato è più produttivo della media Ue”. Inoltre, su base pro capite, sottolinea S&P, “ci sono più imprese con un numero medio di addetti maggiore nel Centro-Nord rispetto al Sud. Con il 28,5% della forza lavoro totale rispetto alla media Ue del 13%, spicca anche la percentuale di lavoratori autonomi nel mercato del lavoro italiano; solo la Grecia ha una percentuale più alta”.
È troppo presto per trarre conclusioni chiare sulle ripercussioni della pandemia in Italia: “la scarsa diffusione della digitalizzazione – osserva S&P – contribuisce a una bassa produttività del lavoro ma è stato osservato che la pandemia ha stimolato una notevole innovazione in questo campo. Il governo Draghi propone di investire circa il 2,8% del pil dai fondi Ue per digitalizzare i servizi pubblici, le piccole e medie imprese e per la banda larga, il 5G e le infrastrutture satellitari”.
CONTI PUBBLICI
Il rapporto deficit/pil dell’Italia dovrebbe salire dal 9,5% del 2020 all’11,6% nel 2021 mentre il rapporto debito/pil dovrebbe salire dal 127% dell’anno scorso al 149% nel 2021, sostiene l’agenzia di rating.