Può sembrare incredibile ma, accanto ad un contesto pericoloso e disagiato come quella ucraino, specie in queste ultime settimane, sulla sponda russa si sta parallelamente svolgendo un ‘cavilloso’ iter legale.
Come è ormai noto infatti, nell’annunciare l’invasione in Ucraina, come del resto continua a fare ancora oggi il Cremlino, Putin non ha mai parlato di ‘guerra’, limitando a parlare di “un’operazione speciale”. Oltretutto, vista la disorganizzazione logistica interna alle truppe russe, per giunta anche ‘psicologicamente’ provate dalla resistenza di un ‘nemico’ tecnologicamente supportato dall’Occidente con armi e mezzi micidiali, con il passare delle settimane sono divenuti tantissimi i soldati intenzionati a mollare per tornarsene a casa. Come non ricordare l’impressionante video nel quale (come evidenzia la foto), terrorizzato, un soldato-ragazzino russo, catturato, viene ‘sfamato’ dai civili ucraini?
Come spiega infatti il legale russo che che sostiene i renitenti, Mikhail Benyash, quel che non si dice è che sono “centinaia e centinaia” i militari russi che continuano a rifiutarsi di combattere in Ucraina.
Per loro, sostiene l’avvocato, esiste una ‘via di fuga’ legale: essendo stata annunciata come “un’operazione speciale” – e non una ‘guerra’ – quella in Ucraina, chi manifesta la volontà di non voler combattere, non rischia quindi di commettere il grave reati di diserzione ma, al limite, può soltanto essere licenziato.
Infatti, assicura Benyash, ad oggi nessun soldato è stato arrestato.
Un ‘cavillo’ che sta ulteriormente inguaiando Mosca, che inizia a soffrire l’evidente calo di fanti da dispiegare nelle prime linee.
“I comandanti minacciano di mandare in carcere i soldati, ma noi spieghiamo loro che possono dire di no“, riferisce i legale, rimarcando che il suo studio legale “è stato contattato da centinaia e centinaia di soldati”. Insomma, evidenzia Benyash, la situazione è abbastanza semplice: ”Non vi sono basi legali per avviare una causa penale se un soldato rifiuta di combattere fuori dal territorio russo visto che non è stata dichiarata una guerra”.
A testimoniare la veridicità di queste affermazioni, un giovane soldato che, spostato dalla Bielorussia all’Ucraina proprio a cavallo del 24 febbraio (giorno in cui è iniziata l’invasione), ha combattuto per poche settimane, ed è poi rientrato in Russia. Tuttavia, lo scorso aprile, è giunta la nuova ‘chiamata’ per tornare a combattere in Ucraina e, stavolta, lui come altri suoi compagni hanno subito contestato l’iniziativa: “E’ subito diventato chiaro che non tutti erano d’accordo. Molti di noi semplicemente non ci volevano tornare”
Il soldato ed altri suoi otto compagni, hanno replicato ai superiori “Voglio tornare a casa. Non in una bara”. A quel punto, ricorda, “I superiori erano furiosi, ma si sono dovuti calmare perché non c’era molto che potessero fare“. Così i ragazzo è stato trasferito a Belgorod – in Russia – dove vi resterà fino a giugno, quando scadrà il suo contratto quinquennale con l’esercito.
Come dicevamo si tratta di una situazione ben nota ai piani alti del Cremlino e, come suggerisce di fare un’analista militare occidentale, Rob Lee, che commenta questa assurda situazione, “Il presidente Putin deve prendere una decisione sulla mobilitazione nelle prossime settimane. La Russia non ha sufficienti unità di terra con soldati a contratto per una rotazione sostenibile. Le truppe stanno diventando esauste“. Oltretutto, osserva anche l’analista, “I mercenari non bastano, mentre una mobilitazione generale o un ricorso ai soldati di leva manderebbero al fronte militari poco addestrati e potrebbero creare scontento nell’opinione pubblica interna…”.
Max