(Adnkronos) – Le terapie disponibili per le apnee ostruttive (Osa) come la Cpap, il ventilatore a flusso d’aria continuo a pressione positiva, non sempre riescono a risolvere il problema dell’eccessiva sonnolenza e stanchezza diurna. “In uno studio in 7 centri italiani di pneumologia e medicina del sonno su 2.700 pazienti abbiamo visto che, prima del trattamento con Cpap, la sonnolenza eccessiva era presente nel 40% di loro. Dopo la cura, il 6% presentava sonnolenza residua. C’è una quota di pazienti che continua ad avere questo disturbo”, spiega Luigi Ferini Strambi, primario del centro di Medicina del sonno dell’Irccs Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, intervenendo oggi all’incontro stampa in cui è stato presentato un nuovo farmaco disponibile in Italia, pitolisant (Ozawade*), indicato per migliorare lo stato di veglia e ridurre l’Esd in pazienti adulti con apnee ostruttive del sonno.
“La quota di pazienti con sonnolenza residua – continua – ha portato allo sviluppo di varie terapie. Una delle più recenti è rivolta a combattere il disturbo aumentando l’attività dell’istamina, che promuove la veglia. Il nuovo farmaco non cura le apnee, ma un sintomo fondamentale legato alla sonnolenza. Il pitolisan, negli studi, ha ridotto in modo significativo la sonnolenza anche in pazienti che avevano rinunciato alla Cpap ed è molto ben tollerato”. Inoltre, “altro aspetto importante, rispetto ad altri farmaci per controllare l’eccessiva sonnolenza, non dà problemi psicostimolanti o, a livello cardiocircolatorio, non c’è, ad esempio, aumento della pressione, problema spesso presente in questi pazienti”.
La Cpap o altri rimedi come la terapia posizionale, i dispositivi di avanzamento mandibolare (Mad, Mandibular advancement device) o interventi chirurgici, non sono sempre risolutivi per le persone che soffrono di sonnolenza e stanchezza durante il giorno e per questi sintomi, insieme al russamento notturno, si rivolgono al medico.
Nei pazienti con la forma non lieve di apnea ostruttiva, la Cpap è una terapia efficace, ma non sempre tollerata. Si tratta di un compressore che mantiene pervie le vie aree soffiando aria all’interno dei polmoni attraverso una maschera personalizzata che va indossata tutta la notte. La Cpap ha bisogno di una “taratura specifica sul singolo paziente – ricorda Ferini Strambi – Spesso la prima notte abbiamo bisogno di una pressione abbastanza alta, ma in seconda e terza giornata si abbassa e si deve adeguare, altrimenti il paziente non usa l’apparecchio”.
Anche se la terapia è ben tarata, “rimane comunque la quota di persone che continua a soffrire di eccessiva sonnolenza – afferma lo specialista – e non è un problema irrilevante perché la sonnolenza residua diurna complica la prognosi del paziente e molte condizioni sono più accentuate, se persiste questa sonnolenza”. Il riferimento non è solo all’ipertensione arteriosa o ai disturbi metabolici che si possono accentuare, ma ai problemi a livello cognitivo, dato che alla stanchezza si associano confusione mentale e difficoltà a concentrarsi, condizioni che compromettono anche l’attività lavorativa e sociale. “Come dico spesso – aggiunge lo specialista – quella delle apnee ostruttive è una di quelle cause controllabili che potrebbe proteggere anche dalla demenza”.
“Il farmaco ha un’emivita di 11 ore – spiega Ferini Strambi – si prende al mattino a un dosaggio di 4,5 mg la prima settimana, che si può aumentare a 9 mg e quindi a 18 mg. Viene prescritto nei centri di medicina del sonno e dai neurologi, in questa prima fase. Gli studi attuali sono a 40 settimane, abbiamo bisogno di più dati per il lungo termine, ma sonnolenza e stanchezza, anche diverse dal punto di vista fenomenologico, nel singolo paziente sono collegate tra loro e possono essere migliorate. Inoltre – aggiunge – non ci sono interazioni importanti con altri farmaci e alimenti. L’impatto sul sistema cardiovascolare deve essere monitorato, ma i dati sulla sicurezza del farmaco sono ampi: teniamo conto che abbiamo già acquisito esperienza del suo impiego nella narcolessia”, conclude il neurologo.