(Adnkronos) – Pedinava e minacciava la ex moglie, nonostante avesse il divieto di avvicinamento, e successivamente, mentre era agli arresti domiciliari, ha continuato a importunare la donna e a insultarla con epiteti di ogni genere. Parolacce anche alla ex suocera. Le seguiva anche in chiesa, dove le due donne andavano a messa. Adesso, l’uomo, di Gela (Caltanissetta) è finito in carcere grazie all’applicazione delle nuove disposizioni del Codice Rosso Bis. Questo recente emendamento prevede, infatti, l’arresto in ‘flagranza differita’ nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori. E’ la prima volta che la norma viene applicata in Sicilia e una delle primissime volte in Italia, dopo l’entrata in vigore delle scorse settimane. L’uomo, di 32 anni, è stato arrestato dagli uomini del Commissariato di Ps di Gela, coordinati dal Procuratore capo facente funzione, Lucia Musti. “E’ l’ennesimo intervento del legislatore sul Codice rosso – sottolinea all’Adnkronos il Procuratore, applicata a Gela da alcuni mesi – Per come la vedo io, la legislazione italiana è puntuale. Non è perfetta ma è celere. Gli interventi sono rapidi e incisivi, proprio come è accaduto in questo caso. Perché gli strumenti si sono sempre più allargati. Questa legge è molto incisiva e l’applicazione di ieri è la prova provata di come per quest’uomo non basta neppure il braccialetto elettronico”.
“Lui si infastidiva persino se la moglie andava in chiesa. Considera, insomma, la donna come una proprietà”, spiega il magistrato. “Te ne vai in chiesa – gridava il marito alla ex che era impaurita – Prima mi denunci, poi vai in chiesa. Te ne vai in chiesa con la p…a di tua madre e di tua sorella” apostrofandola più volte come “p…”, come scrive il pm nella richiesta di convalida dell’arresto.
L’uomo “con condotte reiterate minacciava e molestava con insistenza la moglie, in modo tale da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia, da farle temere per la propria incolumità e da costringerla ad alterare le abitudini di vita; in particolare, violando la misura del divieto di avvicinamento alla moglie a cui era sottoposto, e successivamente evadendo dagli arresti domiciliari, misura disposta in aggravamento della precedente, si recava ripetutamente in giorni diversi e anche più volte nella stessa giornata del 13 dicembre presso l’abitazione dove è domiciliata la moglie e presso la chiesa dove la donna si trovava”, si legge ancora nel provvedimento.
Il marito della vittima, nonostante fosse ai domiciliari, per l’aggravamento della misura, “essendo stato autorizzato dall’Autorità giudiziaria ad allontanarsi dal domicilio al solo fine di recarsi al Sert di Gela, sfruttava la stessa autorizzazione per recarsi ripetutamente presso l’abitazione della suocera ove dimora attualmente la moglie e commettere il reato”, scrive il pm nel provvedimento. Al giudizio direttissimo ha partecipato anche il Procuratore capo Lucia Musti, che ha voluto esserci a tutti i costi. Erano tutte donne in aula: l’accusa, la giudice, la guardia giurata, la cancelliera. “E’ stata una coincidenza – dice Lucia Musti – in udienza c’è stato un grande equilibrio e l’applicazione rigorosa della legge”.
“Non c’è un giorno in cui un procuratore quando arriva in ufficio non trovi un caso di codice rosso – spiega ancora Lucia Musti – Non solo a Gela ma in altre procure. Questa è la vera emergenza. L’altra emergenza è rappresentata dagli infortuni sul lavoro. Sono le due emergenze con cui le procure devono confrontarsi ogni giorno. Il bacino dei morti ci arriva proprio da questi reati”.
Ma un arresto come questo in flagranza differita può convincere le donne vittime di violenza a denunciare? “Assolutamente sì – dice il Procuratore – ovviamente non tutte perché la paura è tanta, non c’è la cultura della denuncia. Sulla cultura della denuncia prevale la cultura della soggezione e soprattutto dell’appartenenza all’uomo, c’è poco da fare. Molte donne ritirano la denuncia, sono le peggiori nemiche di loro stesse…”. E “laddove c’è arretratezza sociale ed economica aumenta il ritiro della denuncia – dice – Ci piace pensare che dopo avere saputo dell’arresto del marito, la signora adesso si senta al sicuro. E che si sia rafforzata la bontà della sua decisione di denunciare e e di mantenere la denuncia”.
E conclude: “Mi auguro che questa applicazione della legge non solo abbia un significato per la signora ma sia estesa anche alle altre donne”. Ricorda anche che il provvedimento di arresto dovrà “passare ancora dal vaglio del Tribunale del Riesame. Questa, molto importante, è una prima posizione del giudice”. “Mi auguro di avere l’occasione di potere ripetere alle donne: ‘Vedete, se volete si può'”, conclude il Procuratore Lucia Musti. (di Elvira Terranova)