“La prudenza suggerisce di andarci piano, molto piano, col ‘partito’ di Fedez. Non è detto che il suo sia l’annuncio di un’altra ‘discesa in campo’, ed è possibile che tutto il bailamme che ne è scaturito sia solo un modo furbo ed efficace di trainare il suo nuovo disco nelle classifiche. Ma l’esperienza di questi anni ci dice anche che molte avventure politiche sono nate appunto così, fuori dai solchi dell’ufficialità nei quali eravamo impantanati. Una volta chiusi i battenti delle scuole di partito, di lì in poi il reclutamento dei nuovi leader è passato attraverso le filiere dell’imprenditoria, della magistratura, dello spettacolo e così via. Fino a farci discutere oggi del senso politico dei Ferragnez e dei loro colleghi influencer.
Dunque può darsi che si stia parlando del nulla. Ma se invece del nulla ci fosse qualcosa -qualunque cosa- allora sarebbe il caso di evitare l’infelice teorema che a suo tempo Fassino oppose a Grillo: ‘Che fondi un partito e poi vediamo quanti voti prende’. Teorema a cui molti di noi, legati a filo doppio all’ufficialità politica, siamo sempre tentati di far ricorso. A spese però più nostre che loro.
Certo, Fedez non ha un programma. Ancor meno di quanto lo avesse Grillo prima di lui. Egli esprime piuttosto delle suggestioni in ordine sparso, senza curarsi che abbiano tra loro un minimo di connessione. Sull’omofobia, per dire, è passato con disinvoltura da un estremo all’altro. E sulle cose che contano in un’agenda di governo -le alleanze internazionali, l’economia, il welfare e via dicendo- c’è da dubitare che un professore indulgente gli darebbe mai la sufficienza.
Già, ma Fedez è solo il dito, e noi invece dovremmo guardare la luna. E prendere atto che c’è in giro una gran quantità di sentimenti pubblici che non si incanalano, di domande che non trovano risposte, di malumori che restano appesi a sventolare all’infinito. Una sorta di ‘bla bla bla’ popolare che erompe quotidianamente dai social e che tuttavia ambisce a farsi sentire fin nei piani alti dei palazzi che contano -o di quel che resta di loro. In altre parole, esiste un magma di velleità, risentimenti, ma anche buoni propositi, che non trova la via d’accesso alla dimensione politica, e così si rifugia nel regno del sospetto o in quello del vituperio.
A fronte di tutto questo si deve riconoscere che i partiti oggi in campo non sono la soluzione. Essi non hanno né la forza di imporre il loro gioco, né l’umiltà di ripensarlo. Il loro insediamento è fragile, le loro bandiere si stanno afflosciando. E se la cura Draghi è servita al buon nome del paese, non ha potuto far molto per la conservazione e il rinnovamento di un sistema politico arrivato da tempo al suo stesso capolinea.
E’ anche per questo che servirebbe
una legge elettorale che riaprisse i giochi e lasciasse alla rappresentanza lo spazio e il respiro di cui ha bisogno. Parlo di una legge proporzionale con uno sbarramento alto e significativo (diciamo il 5 per cento, come in Germania). Una legge che consentisse a forze nuove, se ce ne sono, di palesarsi. E a forze più piccole di deporre le armi della loro utilità marginale e confluire in un ambito più largo per non scomparire. Ponendo fine a quelle alleanze insincere e fragilissime che cercano una rendita per conservare se stesse non avendo più un centesimo da investire per cercare di rappresentare gli altri.
Personalmente, quando ascolto gli argomenti politici di Fedez mi metto d’istinto alla sua opposizione. Ma l’attenzione che suscita è un sintomo, e come tale non va sottovalutato. Un sintomo del fatto che il campo della politica ha bisogno di essere riaperto, di trovare nuovi personaggi e nuovi argomenti, di spezzare la stanca egemonia dei partiti e dei leader che al momento lo impersonificano. Anche a questo servirebbe una nuova legge elettorale. A far germogliare nuove proposte, belle o brutte che siano. Lasciando agli elettori l’ultimo parola a questo riguardo”.
(di Marco Follini)