E’ ormai scattato il countdown per il ritorno sui banchi per milioni di scolari e studenti italiani e, ad oggi, sono ancora diversi i temi rimasti in sospeso. Banchi, personale, turni ed altro occupano infatti in questi giorni le colonne dei giornali ma, soprattutto ai genitori, quello che sta maggiormente ‘a cuore’ è l’ormai rimarcato uso del termometro in casa al mattino, prima di recarsi nelle scuole. Il dubbio che assilla tutti è lo stesso tutti: complice anche le tempistiche ed il caos che regna nelle case italiane sin dalle prime ore del mattino, siamo certi che veramente ciascuno scolaro o studente misurerà la temperatura prima di uscire di casa?
Un dubbio legittimo che però l’infettivologo dell’ospedale Sacco-università degli Studi di Milano, Massimo Galli, pone sotto un altro punto di vista: “A mio avviso la misurazione della febbre non può essere fatta solo a casa. Andrebbe effettuata anche a scuola e lo ripeto da tempo. Dire di farlo a solo a casa è una scorciatoia – chiarisce infatti l’esperto – non dà le stesse garanzie e scarica sul genitore, sull’utenza, tutta una responsabilità e funzione che credo vada condivisa e non attribuita“.
Ma non solo, ciò che angoscia di più, aprendo quindi ‘scenari’ ansiogeni, è l’effettiva riprova che qualcosa non va, qualora la temperatura misuri i ‘famosi’ 37,5 gradi di temperatura. Come spiega giustamente ancora Galli, “con questi chiari di luna, stabilire le cose con certezza ha un senso limitato, tenendo conto che parliamo di una malattia che in una parte dei casi – almeno il 30% – è del tutto asintomatica. La misurazione della febbre è una parte del tutto e in fin dei conti forse definire se la soglia è 37 o 37,5 può essere meno importante, anche se condivido le perplessità”. Tanto è che, suggerisce l’infettivologo, “Un abbassamento a 37 sarebbe da prendere in considerazione, ma implicherebbe di trovarsi a considerare sospette una quantità enorme di infezioni non ‘vere’. C’è dunque una posizione intermedia di buonsenso: lasciamo 37,5 come soglia ma, considerando che ci sono casi addirittura senza febbre, diventa importante valutare le situazioni, per esempio la presenza di qualche fratello o di qualcuno in famiglia con la febbre o altri sintomi. Andrebbero poste domande. Quello che è certo è che tutto questo apre uno scenario assai complicato”.
Altra questione ancora aperta, la quarantena: ma quanto deve durare? E’ lecito, come si dice, ridurla? ”La trovo una soluzione puramente burocratica – spiega Galli – Se è un accorciamento della quarantena con tampone, mi sta bene. A patto ovviamente – tiene a rimarcare subito – che l’esame non abbia una risposta dopo tanto tempo, tale da annullare il vantaggio temporale”.
Galli si dice quindi ‘in linea’ con il viceministro Sileri, secondo cui la formula “quarantena di 7 giorni e tampone è un buon compromesso“. Del resto, chiarisce l’esperto, i famosi ’14 giorni’ “è stata un’invenzione dell’Oms per dare un’indicazione in assenza di test e tenendo conto che molti Paesi non potevano sostenere i test”. Dunque, aggiunge, “Ora si può fare meglio, ma si deve passare per i test. Si aprono scenari nuovi con quelli rapidi. Resta il fatto che, anche se si parlasse di test tradizionali, i risultati devono essere rapidamente comunicati. Non si può avere una risposta dopo 4 giorni per intenderci, non avrebbe più senso”.
Max