(Adnkronos) – Il Papa non sarà ascoltato come teste dal Tribunale Vaticano nell’ambito del processo sullo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese. La testimonianza del Pontefice era stata sollecitata da diversi avvocati difensori dei dieci imputati nel processo. Il Tribunale presieduto da Pignatone ha invece disposto che saranno ascoltati in Aula il sostituto alla segreteria di Stato mons. Pena Parra (per cui il Tribunale si è riservato se ascoltare il card. Pietro Parolin, segretario di Stato) e il fratello del cardinale Angelo Becciu, Antonino.
Il Tribunale, con un’altra ordinanza, ha poi respinto le richieste avanzate dalla difesa di Angelo Becciu, cui si sono allineate le altre difese, di espungere dal processo i 15 file audio depositati da Francesca Chaoqui nella precedente udienza, auto registrati da mons. Alberto Perlasca, teste chiave nel processo. A inizio udienza, l’avvocato Fabio Viglione aveva sostenuto che si trattasse di “file audio assunti fuori dalle regole, facilmente modificabili”. Tesi respinta.
Chaoqui non sarà più sentita**
Non ci sarà alcun confronto all’americana fra Francesca Chaoqui, pierre già membro della Cosea del Vaticano, e Genoveffa Ciferri, amica di mons. Alberto Perlasca, considerato il teste chiave nel processo in Vaticano legato allo scandalo finanziario per la compravendita del Palazzo londinese. Lo ha deciso il tribunale del Vaticano presieduto da Pignatone che ha giudicato “inutile” un confronto di questo tipo, rendendo noto che non sarà più sentita nemmeno la Chaoqui.
Becciu: “Respingo accuse Gdf Oristano contro me e il Papa”
“Non potrò non respingere con la massima fermezza alcune affermazioni contenute nell’Informativa della GdF di Oristano e che suonano come accuse non solo contro di me, ma anche contro il Papa e i suoi collaboratori, quali sono i Capi Dicastero”. Il cardinale Angelo Becciu, tra i dieci imputati nel processo davanti al Tribunale Vaticano per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese, anche stamani ha reso dichiarazioni spontanee al termine della testimoni del colonnello Pellecchia. Il riferimento è alla nota riservata dell’allora vescovo di Ozieri, Sergio Pintor, morto.
“A ben vedere – ha detto Becciu – non si tratta di semplici carte qualsiasi, ma di riflessioni personali del presule. Di fronte all’esibizione di dette carte mi sia consentito di esprimere incredulità e sofferenza. Mi permetto di ricordare che tra le norme che regolano il governo diocesano di un vescovo vi sono i cann. 486,§2 e 487§1, i quali dicono espressamente come tutte le carte riguardanti ‘le questioni spirituali e temporali della diocesi’, vale a dire tutto ciò che concerne il governo di una diocesi, debbano essere custodite nell’archivio segreto della Curia diocesana, archivio accessibile solo al Vescovo e al cancelliere. Dunque, conforme ai suddetti canoni, le carte di Pintor dovevano rimanere in quell’archivio o perlomeno, alla sua morte, dovevano essere spedite alla curia della diocesi di Ozieri”.
Becciu ha poi fatto notare che “la nipote del vescovo che ha consegnato questi documenti alla guardia di finanza è venuta meno al proprio dovere di cristiana”.
Becciu si è soffermato sulla questione delle dimissioni di mons. Pintor e sulla presunta influenza della “famiglia Becciu” nel governo della Diocesi: ” Le dimissioni di Mons. Pintor al compimento dei 75 anni di età sono definite come “un fatto inusuale” e poi sarebbero state il frutto di manovre da parte di una coalizione di persone quali il sottoscritto, il card. Piacenza, allora Prefetto della Congregazione del Clero, il Card. Bertone, allora Segretario di Stato, il Prefetto della Congregazione dei Vescovi e il Nunzio Apostolico in Italia dell’epoca. Ho paura che siamo lontani dalla realtà.Ora, al netto di questa considerazione, definire “inusuale” l’accettazione immediata delle dimissioni di un vescovo al compimento dell’età canonica, significa non conoscere la prassi della Chiesa. Al riguardo, potrei portare una lunga lista di quanti lasciano la reggenza di una diocesi a quell’età”.
Tra gli esempi, Becciu ha citato il vado di mons. Paolo Zedda. “Un punto – ha vvb poi aggiunto – va subito chiarito perché altrimenti si commette un grave errore ricostruttivo: chi decide sulla vita di un Vescovo è il Papa: è lui che nomina, e lui che trasferisce ed è lui che decide in merito alle dimissioni dopo aver valutato tutte le circostanze; è solo il Papa e nessun altro! Dire che per le dimissioni di Mons. Pintor vi sia stato un confluire di forze manipolatrici nei confronti del Santo Padre è affermazione grave. Se Mons. Pintor si è lasciato andare a considerazioni negative è da capire umanamente per il momento di sconforto e delusione che avrà vissuto, ma non è accettabile che altri le utilizzino per accreditare tesi mai eccentriche”.
Becciu ha contestato anche i due o tre punti dell’Informativa dei Finanzieri in cui “affiorano gravi affermazioni con le quali si sottolinea che ‘Diocesi e Caritas venivano gestite a livello familiare, come una propaggine della famiglia Becciu’. Anzitutto, respingo con sdegno un’asserzione del genere che rievoca connotati di famiglia che a noi sardi sono del tutto alieni.Potrei ammettere che ad essere stati coinvolti in qualche modo nella vita diocesana di Ozieri siano stati il sottoscritto e mio fratello, Tonino, ma due membri della famiglia non è la famiglia. Ho altre tre fratelli componenti degnissimi della mia famiglia che con le cose della diocesi non hanno mai avuto a che fare. Se poi vogliamo andare nei particolari contesto nel modo più assoluto che io abbia mai interferito nel governo della diocesi”.
Nella sua dichiarazione spontanea, il card. Becciu ha detto di non avere “mai speso una parola contro Mons. Pintor, neanche quando procedette al trasferimento di alcuni parroci in una maniera piuttosto severa e che creò in essi malumore e spinte al dissenso. Essi si lamentarono con me, ma io ebbi sempre parole di massimo rispetto per il Vescovo e di incoraggiamento all’ubbidienza. I rapporti con Pintor si incrinarono a partire dell’ottobre del 2011, quindi 5 anni dopo il suo ingresso. Fu per un motivo futile legato ad una segnalazione che mi fece e a cui non diedi corso spiegando al Vescovo le ragioni. Non dettaglio ulteriormente per non arrecare del male all’interessato. Purtroppo da quel momento il Confratello cadde vittima del suo temperamento rancoroso e a farne le spese non fui io, ma mio fratello, Tonino, e gli altri responsabili della Caritas diocesana”.