(Adnkronos) – L’ultima battaglia legale di Vittorio Emanuele è stata condotta con le tre sorelle (Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice) in sede civile davanti al Tribunale di Roma a partire dal 2022 per riottenere il ‘tesoro della corona’ di Casa Savoia, custodito nel caveau della Banca d’Italia. Gli eredi di Umberto II, ultimo re d’Italia, hanno chiesto la restituzione dei gioielli lasciati in Italia quando in fretta e furia il re e la regina dovettero andare in esilio all’indomani del referendum del 2 giugno 1946, che sancì la sconfitta della monarchia e il trionfo della Repubblica.
Dopo che era venuto meno il vincolo del deposito del ‘tesoro della Corona’ di Casa Savoia in Banca d’Italia, i legali degli eredi di Umberto II e Maria Josè hanno avanzato la richiesta di restituzione.
”L’anno del 1946, il 5 giugno, alle ore 17 nei locali della Banca d’Italia, via Nazionale n.91 si è presentato il signor avvocato Falcone Lucifero, nella sua qualità di reggente il Ministero della Real Casa con l’assistenza del Grand’Ufficiale Livio Annesi direttore capo della Ragioneria del Ministero suddetto. L’avvocato Falcone Lucifero dichiara di aver ricevuto incarico da sua maestà re Umberto II di affidare in custodia alla cassa centrale della Banca d’Italia per essere tenuti a disposizione di chi di diritto gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette ‘gioie di dotazione della Corona del Regno’, che risultano descritti nell’inventario tenuto presso il ministero della Real Casa e che qui di seguito si trascrivono”. Così si legge in un documento in carta da bollo da 12 lire – redatto 3 giorni dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, in cui il ministro della Real Casa su ordine del re Umberto II consegnò al governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, la preziosa cassa con il Tesoro della Corona. E’ da allora i gioielli dei Savoia, custoditi in un cofanetto in pelle a tre piani e protetto da 11 sigilli (5 del ministero della Real Casa e 6 della Banca d’Italia), sono rimasti sepolti nel caveau di via Nazionale.
Il ‘tesoro della corona’ non è mai stato esposto in pubblico, cosa che invece sognano gli eredi di Casa Savoia. E da quel 5 giugno del 1946 è accaduto soltanto una volta, poco prima della morte di re Umberto, che il prezioso scrigno sia stato riaperto: è successo nel 1976 per ordine della Procura di Roma dopo che il giornale “Il Borghese” aveva ipotizzato la scomparsa di alcuni dei famosi preziosi. Ma una volta che si accertò che il tesoro era intatto sulla vicenda tornò a calare il sipario.
Tra i pezzi più importanti, rinchiusi nel cofanetto di pelle nera, foderato di velluto azzurro Savoia, catalogati il 5 giugno del 1946 da Lucifero con l’assistenza di Davide Ventrella, allora segretario del sindacato orafi, figurano un grande diadema a undici volute di brillanti, attraversato da un filo di perle orientali, che negli spazi inferiori ha perle incastonate, in quelle superiori gocce di brillanti incastonati; il tutto per un totale di 11 perle a goccia di grani 720, 64 perle tonde del peso di grani 975, 1040 brillanti del peso di grani 1167. Si tratta della famosa tiara che appare in tutti i ritratti ufficiali della regina Margherita e della regina Elena.
Come risulta dalla perizia svolta dalla maison Bulgari nel 1976 per conto della Procura di Roma, i soli brillanti sono 6.732, a cui si aggiungono 2.000 perle di diverse misure montate su monili di grande valore artistico, tra collier, orecchini, diademi e spille. Ci sono gioielli che risalgono all’epoca di Carlo Felice e di Carlo Alberto e la famosa tiara della regina Margherita, quella che compare in tutti i ritratti.
Quanto al valore del tesoro reale, non ci sono cifre ufficiali. Nel 1999 l’Unione Monarchica Italia parlò di 3mila miliardi di lire. Altre ricostruzioni odierne ipotizzano 300/400 milioni di euro.
L’interrogativo che è stato spesso sollevato è a chi di fatto appartenga questo tesoro dei Savoia. Punto chiave, secondo numerosi giuristi, è il documento di deposito laddove si parla appunto di “gioie in dotazione della Corona del Regno”. Un passaggio questo, che secondo gli esperti, toglierebbe ogni dubbio circa l’appartenenza allo Stato del tesoro. I beni che componevano la dotazione della Corona erano infatti annoverati dalla legislazione del Regno nella categoria dei beni non disponibili dello Stato, appartenenti quindi allo Stato e assegnati al re per l’adempimento delle sue funzioni, cioè posti al servizio dell’ufficio del sovrano, non della sua persona. Una distinzione prevista dallo Statuto Albertino e da due successive norme, una del 1850 e una del 1905. Al di là, dunque, anche del dettato della XIII disposizione della Costituzione repubblicana, ormai cancellata, che oltre a prescrivere l’esilio per il sovrano e i suoi discendenti, avocava allo Stato tutti i loro beni esistenti sul territorio nazionale.
I figli di Umberto II, invece, non hanno dubbi sul fatto che ormai, dopo quasi 80 anni, il ‘tesoro della corona’ debba essere restituito a loro.